Foto Ansa

Crocicchi #14

L'attimo nel quale Kristensen ha dato un'altra vita a Mourinho

Enrico Veronese

Grazie a un rigore procurato e a un gol segnato il danese ha prolungato l'èra del portoghese nella capitale e forse segnato un momento di rottura nella stagione. La Roma guadagna tre punti e rimane nella scia dell’alta Europa, imbullonando la panchina del suo creatore

Il padre di tutti i crocicchi dell’autunno-inverno 2023-24 è stato schivato alle 19.45 di domenica da Rasmus Kristensen allo stadio di Reggio Emilia, dove si stava disputando l’incontro tra Sassuolo e Roma. Il fallo subìto in area dall’esterno danese, tanto plateale quanto ineccepibile, ha strappato la pagina già scritta del campionato romanista per iniziarne forse una nuova, o più probabilmente una sua falsariga. Fino a quel momento il punteggio era di 1-0 per i padroni di casa (si fa per dire), e non c’era più alcuna ragione degna di questo nome, ovvero razionale, per trattenere José Mourinho sulla panchina giallorossa: contro il suo monumento congiuravano i risultati - non ultimo il rischioso dentro o fuori dall’Europa League - assieme a un gioco che definire rinunciatario è una carezza, e alla brutale gestione degli uomini, sia mediatica che prettamente sportiva. Ma soprattutto, la pazienza dei Friedkin non poteva che esondare alle esternazioni del prepartita, le mani avanti per condizionare la terna arbitrale (poi artefice di una espulsione a favore e del detto rigore), le provocazioni in lingua portoghese dopo lo scampato pericolo. Se la Roma avesse perso, nonostante il consueto tremendismo finale tipico delle provinciali e non di un’aspirante alla Champions League, nessuna attenuante avrebbe più potuto essere accampata dal vate di Setúbal per rimanere al proprio posto: né la rosa risicata, specie in difesa; né la disponibilità intermittente di Paulo Dybala, nemmeno le performance sotto il livello della batteria di esterni quasi al completo, o degli stessi Lorenzo Pellegrini e Houssem Aouar che avrebbero dovuto accendere la luce. Figurarsi le ragioni contrattuali, gli oneri da corrispondere o, soprattutto, il residuo di credito vantato nei confronti della piazza dopo la conquista della Conference League 2022.

Poi, all’improvviso di uno sterile possesso di palla, Kristensen cade in area e Dybala trasforma il penalty. Altri sei minuti, e un fendente dello stesso numero 43 (sic) incoccia nel piede di Ruan Tressoldi, maglia 44, s’impenna come la vecchia lira e termina la sua corsa nell’angolo destro non presidiato da un esterrefatto Andrea Consigli. Del tutto inopinatamente, considerato il tenore del match, la Roma guadagna tre punti e rimane nella scia dell’alta Europa, imbullonando la panchina del suo creatore e rinviando alle prossime polemiche una resa dei conti pur che sia. Perché mai come domenica alle 19.30 Mourinho è andato vicino all’esonero, e la Roma a un traghettatore: troppo l’imbarazzo in campo e con i media, il carisma del personaggio è diventato un’arma a doppio taglio se nasconde la rarefazione di un’idea di calcio avanzata o il galleggiamento nella mediocrità di soluzioni estemporanee. Nella Capitale, tuttavia, sono pronti a giurare che se non cadrà oggi, sarà domani: ma intanto è scontato andare avanti così, tra chi sospira di sollievo perché non saprebbe più come fare senza gli stencil dell’allenatore in vespa, e chi rimpiange l’occasione perduta del “tanto peggio, tanto meglio”. In questo quadro, la grande fortuna è che l’arbitro Matteo Marcenaro e il var Marco di Bello non ci hanno messo del loro - anzi - per aggiungere benzina al fuoco della polemica, né Domenico Berardi ha inteso rispondere con le buone o con le cattive all’esca del provocatore numero uno. Tuttavia il problema esiste, rimane irrisolto e fare finta di niente è inutile anche per la proprietà: è uno dei sintomi del passaggio d’epoca, questa segnata dai peana a nuovi culti (Roberto de Zerbi ma non solo, “oh com’è bravo Thiago Motta” se fa il 4-1-4-1) dall’hype simile a quello che sta accompagnando Angelina Mango al festival di Sanremo.

In vetta, dove l’aria di stagione è più fredda e pura, l’Inter dimostra di essere ancora una volta la squadra più forte, singolarmente di gruppo: il più competitivo tra quelli finora affidati a Simone Inzaghi, che ad ogni incontro esalta nuovi protagonisti. Contro un Napoli dai pugni legati è salito alla ribalta il fattore Sommer, che ha rimosso gli ostacoli e instradato la partita in pianura. Dal canto suo Walter Mazzarri si conferma refrattario a negare se stesso: con Amir Rrahmani, Leo Skiri Østigård e Natan de Souza (o Juan Jesus) rientra dalla finestra la sua amata difesa a tre, mascherata e asimmetrica, complice anche il grande problema che si apre lungo la fascia sinistra dopo le indisponibilità di Mário Rui e Mathías Olivera. Riprende vigore invece il Milan, dove Mike Maignan salva ancora “di faccia” la propria porta: proprio mentre a Madrid sta sbucando dal guscio il buon Brahim Díaz, chissà quanto rimpianto. Chiusura per il berretto popolare di Massimiliano Allegri, ripagato dal coraggio di affidare le chiavi a Hans Nicolussi Caviglia: gaudeamus igitur, Juventus dum sumus fino alla fine. Il rigore sbagliato al 9° minuto e il goal incassato a fil di sirena avrebbero potuto ammazzare un toro, non la Juve di Adrien Rabiot e Federico Gatti:  l’atteggiamento giusto stavolta è di Moise Kean, che appena entrato sotto il diluvio rincorre il brianzolo Pedro Pereira fino alla linea di fondo difensiva, liberando in costruzione dal basso. In suit e dolcevita, Raffaele Palladino - forse il prossimo tecnico di questa o quella grande squadra - regala un tempo ai bianconeri schierandosi senza punte: ma il Monza non è il Brasile del 1970, e per riuscirci avrebbe dovuto godere di un terreno di gioco protetto dalle intemperie. Il calcio dev’essere spettacolo e benessere, non sofferenza e fatica: ce n’è già troppa nella vita per non rinviare di qualche ora, o provare a coprire gli stadi come il Pontiac Silverdome nei mondiali del 1994. A scanso dell’epica e del pathos, i bianconeri hanno due attributi così; per le altre zebre di Udine, invece, la forzata sostituzione di Isaac Success con Lorenzo Lucca ha avuto il valore del ritrovamento di una banconota nel mezzo del crocicchio: svolta la giornata, o anche solo l’umore.

Di più su questi argomenti: