Foto Epa, via Ansa

nel deserto saudita

Un'altra Dakar per Carlos Sainz

Umberto Zapelloni

Lo spagnolo ha vinto a 61 anni la corsa nel deserto. È il primo pilota a portare al successo un’auto con ibrida con due motori elettrici

"La Dakar, o la odi o la ami, non c'è via di mezzo". Carlos Sainz senior lo ha sempre sostenuto. Forse adesso che ha vinto la sua quarta maratona nel deserto la amerà ancora di più. Il Matador, come lo chiamano dai tempi dei due Mondiali rally vinti con la Toyota negli anni Novanta, è sempre più uomo dei record. Era diventato il vincitore più anziano già tre anni fa quando l’aveva conquistata con la Mini. Adesso che si è ripetuto a 61 anni ha alzato ancora di più l’asticella, diventando il primo a vincerne quattro con quattro costruttori diversi (Volkswagen nel 2010, Peugeot nel 2018, Mini nel 2020 e Audi adesso) e il primo a portare al successo un’auto con ibrida con due motori elettrici. “Vincere quando sei più maturo dà un altro gusto, te lo godi di più anche se fai più fatica”. Gli anni passano, ma Carlos Sainz Senior non si stufa di gareggiare e di provare qualcosa di nuovo. Ogni volta racconta a moglie e figli “questa sarà l’ultima”, ma poi arriva la proposta di una nuova sfida e lui saluta tutti e riparte. Non si diverte a stare a casa ad allenarsi con suo figlio che ormai lo batte quasi sempre tranne che a golf, ma che al volante non si è ancora preso le soddisfazioni del padre, aspettando una Ferrari che possa davvero farlo divertire per tutta una stagione e non per due-tre gare all’anno.

Carlos senior ha vinto d’esperienza. Ha saputo sussurrare alla sua Audi usando il cervello oltre al piede destro. Si è fatto trovare al posto giusto nel momento giusto, mentre gli avversari sparivano dalla lotta, prima il principe qatariota Nasser Al-Attiyah, dominatore delle ultime edizioni, poi  Loeb, nove volte iridato nei rally. Il suo compagno di squadra Stephane Peterhansel, uno che è chiamato Monsieur Dakar perché ne ha vinte 14, si è dovuto mettere al suo servizio quando è stato chiaro che Carlos ne aveva di più. L’età in Africa conta meno se sei in forma come un ragazzino e ti adatti a dormire in tenda come ai tempi degli scout, quando è stato necessario durante la tappa maratona di 48 ore senza bivacco.

     

Foto Epa, via Ansa  
    

La Dakar, nata in Africa e passata per il Sud America, ora si corre nel deserto arabo e resta una maratona affascinante e pericolosa che, tristemente, continua lasciare delle vittime sul campo. Questa volta ha pianto il motociclista spagnolo Carles Falcon.  Carlos Sainz non ha resistito al fascino di una sfida che è stata più difficile del previsto per Audi che ha deciso di affrontarla con un’auto avveniristica e dopo tre anni è arrivata alla vittoria, proprio nei giorni in cui ha già salutato tutti, annunciando il ritiro dal raid per dedicarsi completamente all’avventura Formula 1 dopo aver acquistato la Sauber. Se poi nel 2016 la casa tedesca passerà da Sainz senior a Sainz junior lo vedremo.

Intanto resta da festeggiare papà con il figlio che per una volta applaude i colori Red Bull compagni d’avventura del padre nel deserto. “Questo è stato senza dubbio il progetto più difficile e ambizioso della mia carriera. Ma a questo punto della mia carriera sportiva era importante avere una motivazione così forte, come provare a vincere la Dakar con un veicolo ibrido ad alimentazione elettrica”, aveva detto nel 2021 all’inizio dell’avventura con la casa tedesca. Poi sono venuti ritiri, incidenti e quest’anno la vittoria dopo la sfida con un altro re dei rally, il francese Sebastian Loeb che era al suo ottavo tentativo, ma ha dovuto arrendersi alla penultima tappa. La rottura di una sospensione del suo Buggy Hunter gli ha fatto perdere troppo tempo proprio sul più bello. L’immagine che lo riprende accanto alla sua auto in panne sulla pietraia mentre fa cenno a Carlos Sainz di rallentare e prendersela comoda perché ormai aveva vinto, ha fatto il giro del mondo e in un certo senso ben riassume lo spirito dakariano.

L’anno scorso suo figlio Carlos era stato con lui un paio di giorni all’inizio della gara. Quest’anno lo ha seguito da lontano, sempre in contatto telefonico “Ci sentiamo sempre perché vuole capire cosa succede. Questo è un periodo diverso dell’anno per entrambi: ora ha riposato, non siamo stati molto insieme. Ma spesso a Madrid ci alleniamo insieme”. Papà è una presenza costante anche nel paddock della Formula 1, ma anche lui quest’anno non c’era quando Carlito ha vinto a Singapore con la Ferrari. Era impegnato a sua volta in gara e ha seguito il Gran premio dal box del suo team insieme ai suoi ingegneri. Si sostengono a vicenda e magari un giorno si ritroveranno sulla stessa auto. Anche se proprio a Monza, quando gli chiesi se gli sarebbe piaciuto partecipare a una Dakar con suo padre il futuro, aveva risposto: “Certo però chi guida? O guido io o non se ne parla...  Un giorno probabilmente ci proverò, il mio obiettivo è guidare in un rally prima o poi. Ma al momento sono completamente concentrato sulla Formula 1, non c'è spazio per altro. Il rapporto con mio padre? Ricordo che quando ero piccolo una volta chiusero le strade a Madrid per farlo girare, avevo 11 anni e all'epoca era difficile seguire i rally. Solo in quel momento mi sono reso conto di quanto fosse famoso",

In casa Sainz la prima sfida è sempre in famiglia per la pace delle signore di casa. D’altra parte se cominci con il chiamare tuo figlio come te e poi lo porti in pista a Barcellona a conoscere Schumacher e Alonso…”Mio padre mi ha portato al Gran Premio di Spagna del 2005 dove ho incontrato Fernando Alonso. Papà è sempre stato un grande fan della Formula 1, e sono convinto che se le cose fossero andate diversamente, avrebbe tentato una carriera in Formula 1 anche lui”.

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