Tadej Pogacar (foto Getty Images)

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Tadej Pogacar al Giro d'Italia fa bene soprattutto al Giro d'Italia

Giovanni Battistuzzi

Nel 2024 lo sloveno parteciperà per la prima volta alla corsa rosa che senza di lui avrebbe rischiato l'irrilevanza. Ora serve un grande sfidante

Nelle ultime stagioni ciclistiche abbiamo potuto appurare che le corse al cui via si schierano Tadej Pogacar, Mathieu van der Poel, Wout van Aert, Jonas Vingegaard, Remco Evenepoel e Tom Pidcock sono più belle e avvincenti di quelle senza di loro. C’entra il loro talento, soprattutto la loro voglia di correre, di darsi battaglia, di fregarsene beatamente del principio – un tempo dogma – della gestione a risparmio delle energie. Il loro menefreghismo a essere formiche, il loro desiderio a essere magnifiche cicale ci ha fatto incappare in un evidente errore di percezione. Non tutto il ciclismo è ed è stato così, non tutti i corridori possono, vogliono, correre alla loro maniera.

Quel che è certo è che averli, se non tutti almeno in parte, al via di una corsa è il desiderio di ogni organizzatore. Un po’ perché più questa è interessante più pubblicità si vende e più soldi entrano. Un po’ perché la loro presenza fa apparire tutto più bello, i percorsi sono più appassionanti, stampa e pubblico si soffermano sui pregi e non solo sui difetti.

Il Giro d’Italia in questi anni ha patito soprattutto la loro mancanza. E ha patito soprattutto la mancanza del corridore che più di tutti gli altri riesce a trasformare una corsa a tappe in uno spettacolo di varietà ciclistico: Tadej Pogacar. Lo sloveno in questi ultimi cinque anni ha animato, esaltato, magnificato con il suo modo di correre tutte le corse di tre settimane a cui ha partecipato. A partire dalla Vuelta 2019, per poi ripetersi nei successivi quattro Tour de France.

Tadej Pogacar ha deciso che il 2024 è l’anno buono per la sua prima esplorazione al Giro d’Italia.

     

Tadej Pogacar (foto Getty Images)  
     

Se un tempo c’era chi sosteneva che era la corsa a rendere grande un corridore, a dargli attenzione e gloria, ora sembra valere il contrario. Per tutte le corse a tappe che non siano il Tour de France. Il direttore del Giro d’Italia, Mauro Vegni, è uomo di mondo, capace, di esperienza e buon senso. Per necessità va in giro dicendo che la corsa rosa basta a se stessa, è lei a dar lustro agli atleti, ma sa benissimo che non è più così, che la distanza che la separa dal Tour è sempre maggiore e che salite, scenari, cartoline non contano più quasi nulla. Contano gli uomini, quelli capaci di dilatare il tempo degli attacchi.

Mauro Vegni ha lavorato di diplomazia, ha sussurrato alle orecchie di Tadej Pogacar le parole giuste: doppiettagirotour, ossia l’unica ragione per la quale il Giro è ancora davanti alla Vuelta per prestigio (riflesso). Sono le parole più dolci, quelle che riconducono alla storia di questo sport, quelle che riescono a far breccia in un corridore capace di vincere tanto e con la voglia di vincere tutto.

Tadej Pogacar la storia di questo sport l’ha già fatta, vorrebbe aggiungere un altro tassello. Dal Giro, qualora lo vincesse, potrebbe ricavarne tanto, in ogni caso molto di meno di quello che il Giro guadagna avendolo al via. Ora l’obbiettivo di Mauro Vegni è garantire allo sloveno almeno un rivale alla sua altezza. Il dottor Vegni ci permetta un suggerimento: Cian Uijtdebroeks. Potrebbe essere l’inizio di una lunga ed eccitante rivalità.

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