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Il Foglio sportivo

A casa di Varenne il mito del trotto italiano con tremila figli

Bernardo Cianfrocca

Nei primi anni Duemila, fu un'icona di velocità come la Ferrari di Schumacher e Valentino Rossi, unico 'cavallo dell'anno' in tre paesi diversi tra cui l'Italia. "Non si scompone mai", dice la sua lad Daniela Zilli 

In un video le bandiere italiane sventolano sulle tribune. La corsa sta finendo e i 10mila tifosi esultano mentre il vincitore taglia il traguardo. In sala una quarantina di presenti applaude emozionata. Eppure il filmato è del 2002 e tutti conoscono già l’esito di quella gara, i più grandi per ricordo, i più piccoli per intuizione: suppongono di non essere stati portati lì per nobilitare la virtù della sconfitta. Dopotutto Varenne di corse ne ha perse poche, solo 11 su 73 disputate. Tra le 62 vittorie, la seconda consecutiva al Prix d'Amérique è una di quelle che restituisce meglio la grandezza del trottatore più ricco di sempre, con il record di oltre 6 milioni di euro guadagnati in premi. Per il prestigio della corsa francese, per il netto vantaggio sugli avversari, per quelle bandiere all’ippodromo di Vincennes, a dimostrazione di come un cavallo fosse diventato un vanto italiano.


“Casa Varenne”, nella tenuta “Il Cigno” di Villanterio (Pavia), tramanda la leggenda con visite guidate domenicali tra foto, cimeli e il diretto interessato. Coperto da una mantella nera contro il freddo, Varenne esce dal suo box con l’Inno di Mameli in sottofondo e guidato a mano dalla sua lad (assistente ufficiale) Daniela Zilli. Un piccolo recinto lo separa dagli adoratori, l’inconfondibile macchia bianca sul volto nero, una passione per le carote cercate con insistenza nella tasca della lad, un portamento regale: “È un cavallo freddo, non si scompone mai. Così come “non sentiva” la gara prima, non si innervosisce ora, anche perché con gli umani ha facilità di comunicazione”, dice Zilli. Federico Funghi, veterinario, lo conferma: “È in grado di associare le persone alle azioni da compiere in base ai loro movimenti, decidendo se assecondarle o se impuntarsi. Con lui l’interlocuzione è più agevolata”. Zilli e Funghi sono nel team che da anni si prende cura di lui, dal 2022 nella tenuta del Pavese: “Qui ci sono delle piste e ogni tanto, quando lo faccio muovere un pochino, ha ancora l’istinto della corsa. Devo tenerlo a bada”, racconta la lad. Non gli pesano i suoi quasi 29 anni, l’equivalente di 85 per un umano. “Gode di ottima salute. La competizione gli ha dato una tempra speciale. È equiparabile a un cavallo con 10 anni in meno”, sostiene il dottore.

Merito anche della meticolosità delle cure in quella che, dal ritiro nel 2002, è la sua seconda vita da stallone. “Ha circa 3mila figli, con il processo di monta si hanno circa 120 puledri l'anno”, spiega Zilli. Alcuni di loro hanno vinto tanto a loro volta, da Lana del Rio a Vernissage Grif: “Anche la sua fertilità è da record, è incredibile che dopo 21 anni ci sia ancora questa richiesta”. La monta artificiale, al contrario dei galoppatori, è obbligatoria per i trottatori. Consente di evitare infortuni dovuti a scalciate: “Non si possono pregiudicare stalloni di alto pregio. La monta avviene da febbraio a luglio, tre volte a settimana, il seme istantaneo è usato entro 48 ore e con una monta si possono coprire fino a 10 cavalle”, spiega Funghi. “Seguono alcuni mesi di riposo e un nuovo periodo di attività per il congelamento, ma con termini più dilatati. C’è un tetto annuale di 150 monte ed è fondamentale non sottoporre il cavallo a stress”. Un box climatizzato, video-sorvegliato e con un paddock personale sono accortezze riservategli insieme a visite giornaliere e screening di controllo mensili. “Meglio l’approccio preventivo che curativo”. Per esempio ai piedi indossa delle scarpette tecniche. “Lo abbiamo sferrato perché i piedi iniziavano ad avere una forma non corretta e, prima di essere scalzo, è preferibile un cambiamento graduale”.


Durante la visita lo sguardo di Varenne si distrae solo al passaggio della fidanzata Minnie, una pony bionda a cui pensa durante le monte sul manichino. La sua dirimpettaia è invece la capretta Bagola. Qualche volta va a trovarlo Giampaolo Minnucci, il fantino romano che lo ha cavalcato in quasi tutte le sue vittorie. Fu lui a convincere l’attuale proprietario Vincenzo Giordano a comprarlo. Nato nel maggio 1995 in un allevamento a Copparo (Ferrara), rischiò di morire durante il parto per una zampa piegata male. Fu necessario reinserirlo dentro la madre e poi estrarlo con la postura corretta. Il primo proprietario, il francese Jean Pierre Dubois, lo fece debuttare a 3 anni invece che a 2 a causa di una frattura. Nella prima visita di compravendita venne riscontrato un frammento osseo in un'articolazione: avrebbe potuto complicargli la carriera. Minnucci e Giordano però si fidarono e quel rischio non è mai diventato un problema. Dettagli che rendono più epica una storia, come le prime pagine dei giornali, le trasmissioni interrotte in diretta per le gare, l'entusiasmo contagioso di un popolo accusato di essere troppo calciofilo, ma sempre bendisposto verso svariati innamoramenti.


Nei primi anni Duemila, Varenne fu un'icona di velocità come la Ferrari di Schumacher e Valentino Rossi, unico 'cavallo dell'anno' in tre Paesi diversi (Italia, Francia e Stati Uniti). “Ogni anno i puledri vengono chiamati con la stessa iniziale. Nel 1995 toccava alla V e per lui si pensò a Varenne, dal nome della via in cui si trova l'ambasciata italiana a Parigi”, spiega Daniela Zilli. “Non poteva esserci scelta più profetica, è stato un nostro ambasciatore nel mondo”.
 

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