Draymond Green contro i Phoenix Suns (foto Ap, via LaPresse)

Nba

Quando Draymond Green perde il senno

Giovanni Battistuzzi

E se la violenza del cestista dei Warriors fosse solo espressione del suo talento?

Draymond Green gioca in Nba nei Golden State Warriors e con i Warriors ha vinto quattro volte l’Anello. Draymond Green è scaltro e potente, una forza della natura, per i più, e a ragione, uno dei migliori difensori dell’Nba e quindi del basket mondiale. Draymond Green è bravo a conquistare rimbalzi e a rendere difficile agli avversari giocare, a rubare palloni ed eccelle in quel meraviglioso gesto tecnico, spesso sottovalutato, che è la stoppata. Di gente come lui in giro ce n’è poca.

     

Draymond Green stoppa un avversario (foto Ap via LaPresse) 
     

Dicono, tra questi il suo coach Steve Kerr, che Draymond Green abbia la capacità, assai rara, di capire l’avversario, accorgersi prima degli altri di quello che sta per fare, per questo è tanto bravo a difendere. C’è bisogno di intelligenza e scaltrezza nella difesa. Per Jerry Lucas, per molti il giocatore più intelligente che ha mai calcato i parquet dell’Nba, “difendere è più difficile che attaccare e per essere buoni difensori serve quella particolare dote che è l’intelligenza sportiva, una forma di logica applicata al movimento. C’è chi scambia questo per istinto, ma è qualcosa di più complesso di quello che noi chiamiamo istinto”.

Draymond Green ha quella particolarità che Jerry Lucas chiamava “intelligenza sportiva”. Nel bene e nel male. Perché ogni tanto Draymond Green lascia in stand by il senno e in quel momento diventa incontrollabile. E’ successo in passato diverse volte, è accaduto anche ieri a Phoenix nella partita tra i suoi Warriors e i Suns. Dopo nemmeno quattro minuti del terzo quarto, Draymond Green ha steso con un gancio destro il suo marcatore, il bosniaco Jusuf Nurkic.

   

            

In carriera, Draymond Green non ha mai rifiutato una rissa, non ha mai chiesto scusa per un pugno, ne ha dati parecchi, non si è mai pentito per quello che ha fatto. Questa volta però ha esternato il suo dispiacere: “Sapete che non sono tipo da chiedere scusa per ciò che fa, ma in questo caso voglio chiedere scusa a Jusuf perché non era mia intenzione colpirlo in faccia”. Non dovrebbe stupire, anche per uno come lui, abituato a tutto, c’è un limite: e quello di stendere un avversario che non si aspetta un colpo proibito è qualcosa che oltrepassa quel limite. Il perché Draymond Green si lasci andare a questo tipo di espressioni di insensata violenza non è chiaro e i riferimenti alle angherie subite dai più grandi quando era un bambino sanno più di scuse che di realtà. Forse la causa di questi eccessi d’ira è soltanto il suo talento sportivo.

Sul finire degli anni Novanta, la Stanford University avviò uno studio su ciò che accadeva nel nostro cervello quando giochiamo a uno sport di squadra. Tra chi si prestò a una serie di esperimenti c’era anche Jerry Lucas. I ricercatori scoprirono che gli atti sportivi eccezionali, ossia la grande giocata a dirla terra terra, interessava gli stessi circuiti neurali degli atti violenti. Ciò non vuol dire che i grandi campioni debbano per forza essere violenti, perché, sottolineavano i ricercatori, l’uomo è qualcosa di un po’ più complesso di un circuito neurale, ma solo e soltanto che violenza e abilità di atti sportivi eccezionali hanno soltanto qualcosa in comune. Qualcosa che Draymond Green spesso confonde.

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