Jannik Sinner - Foto Ansa

Il Foglio sportivo

Perché abbiamo bisogno di innamorarci di Sinner

Umberto Zapelloni

Torino impazzisce, l’Italia ritrova un eroe sportivo che cambia pure i palinsesti TV. E siamo solo all’inizio

"Quando gioca ancora Sinner?". Se una domanda di questo tipo comincia ad arrivare da nonne, mamme, mogli, fidanzate o amici allergici allo sport, allora significa che siamo di fronte a un fenomeno da analizzare. Ma anche a un evento che ciclicamente si ripresenta nelle nostre vite. Era capitato con Agostini, Tomba, Pantani, Valentino Rossi e un po’ anche con Federica Pellegrini. Merito di quei campioni che sanno andare oltre le loro discipline, perché riescono a parlare alla gente che di sport abitualmente non si interessa. Lo ha fatto un po’ anche Jacobs, ma è durato lo spazio di 100 metri e poco più, è andata molto meglio a Tamberi e Paltrinieri, tra salti e tuffi, ma nessuno è arrivato in zona Sinner con gente che per lui si veste da carota. Anche perché il tennis ha un vantaggio: si gioca tutte le settimane e anche se i major sono solo quattro, sei sempre sotto i riflettori. Jannik ha più opportunità per entrare nel cuore della gente.

L’audience televisiva a reti unificate (Rai2 e Sky) ci racconta che dietro a quello che qualcuno ha tentato di descrivere come anti italiano, oggi c’è davvero l’Italia che soffre per l’azzurro del calcio e si diverte con il rosso di Jannik. Rai e Mediaset sono arrivate addirittura a modificare i palinsesti di giovedì sera per paura che Sinner-Rune oscurasse Alessandro Gassman e Gerry Scotti che dovevano esordire con due nuovi programmi. Sinner in diretta su Rai2 e Sky avrebbe portato via milioni di spettatori, meglio non scendere in campo del tutto. Cose che capitavano ai tempi di Tomba quando l’Albertone nazionale interrompeva il rito del Festival di Sanremo. 

La Sinnermania dilagante, che presto scatenerà anche i tweet dei politici, ha mille sfaccettature. Intanto tutti hanno imparato a scrivere il suo nome, non come quando da bambino vinceva sugli sci e sulle classifiche storpiavano nome e cognome. A Torino Jannik lo incontri dovunque ti volti. Non c’è bisogno neppure della Sphere di Las Vegas che sta illuminando le notti del più folle dei gran premi di Formula 1. Lo trovi sui muri, sulla Mole, sulla facciata di Palazzo Reale, appeso ai lampioni che ti accompagnano lungo i viali. Manca solo che lo facciano emergere dalle acque del Po, come fa nella vasca da bagno piena di palline da tennis in uno degli spot che ci martellano in questi giorni. La sua faccia ormai ha un valore commerciale che si aggira attorno ai 20 milioni di euro, stimavano gli esperti di Nielsen interpellati dalla Gazzetta dello Sport, ancora prima delle Finals. Chissà dove arriverà dopo questa settimana santa. La faccia da bravo ragazzo di Jannik va bene per Gucci, Rolex, Lavazza, Parmigiano Reggiano, Alfa Romeo, Fastweb, Technogym, Intesa Sanpaolo, Pigna e Panini. Per fortuna non deve indossare i loghi di tutti gli sponsor. Si limita a metterli in mostra quando deve, programmando tutto come un computer. Entra in campo con due borsoni, uno griffatissimo, l’altro con le racchette e poi, prima di arrivare davanti alle telecamere per le interviste, ecco che va a recuperare l’orologio da mettere in mostra. Sono tutti sponsor che hanno creduto in lui quando ancora in tanti avevano dei dubbi sulla sua tenuta fisica e mentale. “Jannik è un patrimonio che ci cambierà la vita se, quando Djokovic avrà smesso, sarà nei primi due”, aveva detto ancora prima del torneo di Torino Angelo Binaghi, il presidente di una Federtennis che ha saputo investire sugli eventi quando ancora le promesse dovevano trasformarsi in campioni.

L’effetto Sinner è appena cominciato. Certificato dagli applausi di Djokovic e dalle parole di Alcaraz che sostiene: “Nel 2024 diventerà il numero 1 del mondo e vincerà gli Slam”. I due numeri uno, che Jannik ha battuto nel giro di pochi mesi, sanno di aver trovato il terzo incomodo, diventato grande a costo di sacrifici e rinunce che gli hanno procurato pure immeritate prediche da chi oggi sta salendo in tutta fretta sul carro del vincitore. Senza la rinuncia alla maglia azzurra in quel momento non sarebbe arrivato tutto il resto. La vittoria di Vienna, il numero 4 in classifica. Ma uno dei grandi pregi di Jannik è quello di sapersi concentrare sull’obbiettivo senza lasciarsi distrarre. È migliorato nel fisico e nella mente grazie anche al lavoro dell’equipe di Formula Medicine, diretta dal dottor Ceccarelli che nel suo box a Torino siede accanto a papà Hanspeter. Ceccarelli è uno abituato a far correre veloci le menti dei piloti di Formula 1, sport di cui Jannik è appassionato e da anni lo sta aiutando a pensare positivo. Lo hanno accusato di essere poco empatico. Ha cominciato a sorridere e a ringraziare i tifosi che gli hanno la carica. E poi, se andate a rivedervi la lunga intervista concessa a Sky Sport prima del torneo, vi renderete conto che non è neppure banale. Chiacchiera con Norbert Niederkofler, tre stelle Michelin che arriva dalle sue parti, scherza con Fabio Capello. Quando incontra l’ex tecnico del suo Milan che gli dice “Non riesco a vederti perché soffro”, gli risponde: “Sei proprio come mia madre”. Ormai trova le parole giuste, come fa con i colpi in campo.

È il primo italiano ad arrivare in semifinale al Masters. Ce l’ha fatta ancora prima di incontrare Rune grazie al set vinto da Hubert Hurkacz contro Djokovic giovedì pomeriggio. Un regalo che gli ha tolto un po’ di pressione mettendogli pure in mano un bel biscotto: perdendo in serata avrebbe potuto eliminare il numero 1 del torneo. Ma Jannik ha attraversato anche la sofferenza pur di vincere in campo contro un avversario che non aveva mai battuto. Se troverà Djokovic in finale proverà a batterlo un’altra volta con buona pace dei biscottifici italici. Ha infranto un altro tabù. Quando ha sentito la schiena lanciare un messaggio, se l’è massaggiata un po’ e ha tirato dritto mentre Paolo Bertolucci, il re dei commentatori di Sky, diceva “io mi fermerei qui e penserei alla semifinale”. Ma Sinner ha imparato a conoscere anche il suo corpo. Sa che cosa significa quando si accende una spia. “Ho sentito una piccola botta, ma niente di che, nel terzo set non ho avvertito più nulla. Siamo un po’ come una macchina di Formula 1, appena senti qualcosina… ma anche dopo tre partite mi sembra di essere messo bene come benzina”. Il rosso che vince potrebbe uscire sulla ruota di Torino prima che su quella di Las Vegas. Abbiamo bisogno di nuovi eroi sportivi.

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