(foto Ansa)

a torino

Dopo lo share di Rai2, il vero miracolo di Sinner è farci credere allo sport

Maurizio Crippa

Dopo gli insuccessi della Nazionale abbiamo perso fiducia nello sport in generale. Chissà che i trionfi dell'altoatesino non riaccendano la passione

L’entusiasmo nazionale è alle stelle – o almeno quasi, c’è come si suol dire per le belle promesse ancora un margine di crescita – ma comunque già così è puntato molto più in alto dei deprimenti giochi di luce con dj set stile balera del Kentucky tra un gioco e l’altro. L’entusiasmo è alle stelle, e ci capita così di rado per qualcosa che sia “nazionale”, nel senso “di tutti”,  che siamo andati a cercare il paragone di quando, dove e perché era avvenuto qualcosa di simile in passato: entusiasmo per un eroe solitario, per un giovane eroe. Era stato per i ventidue anni a valanga di Alberto Tomba, quando con lui l’edonismo reaganiano italiano scoprì lo sci; i ventidue anni di Valentino Rossi, il Dottore infinito del Motomondiale, unico sport davvero nazionale, a giudicare dalla nidiata di campioni che Vale si è lasciato dietro. E adesso sono i ventidue di Jannik Sinner, in cima all’Apt e deciso a salire ancora, e con un’impresa tanto entusiasmante – battere Djokovic di tie-break, nervi e classe – da aver già compiuto un miracolo di quelli impossibili persino a santa Rita: risollevare l’audience di Raidue.

L’entusiasmo nazionale è insomma alle stelle (secondo Franco Vanni di Rep. su X la prova certificata è che la volgarità del tifo calcistico è tracimata tutta d’un tratto al Pala Alpitour), e di questo siamo già grati ai ventidue anni di Jannik. Ma la vera domanda da farsi, siccome non riusciamo a crederci, è se riuscirà, il campione con la racchetta e il cappellino anche di notte e il sorriso trattenuto, con quel leggero sforzo che fanno i timidi, a compiere anche un altro miracolo.

 

Quello di cancellare dalle nostre menti italiane, quindi scettiche e perciò sempre illuse, quella delusione, quella incredulità scettica, che ormai proviamo davanti allo sport, in generale. Quella passione di bambini per cui però proviamo, sempre più spesso, uno amaro filo di disincanto. La sottile, implacabile linea del Var della delusione per uno sport che tra business, farmaci, regole forgiate sugli orari delle tv è ormai troppo farlocco per sembrare vero.
 E tralasciamo pure il tennis, la nostra nuova e temporanea autobiografia della nazion(al)e. Epperò per i neofiti dell’Apt in chiaro di servizio pubblico, o i revenant che se dici tennis ancora rispondono Panatta, è già una sfida alla credibilità capire perché Sinner vada in semifinale senza giocare. O perché a Parigi volessero assurdamente farlo giocare all’ora che pure le streghe vanno a dormire.
 Per non dire l’altro sport, quello davvero nazional-popolare e che infatti non è propriamente uno sport, è una guerra medievale mal dissimulata. Si vorrebbe anche crederci, di cuore, alla Nazionale. Però sono già due volte che non ci qualifichiamo ai Mondiali, e per gli Europei ce la facciamo sotto con la solita Macedonia del nord manco fosse il Brasile del ’70. Il punto è che dopo mezza giornata di corrette a Coverciano inizia l’incredibile serie dei “ciao è stato bello ma non mi sento tanto bene”, e chi può marca visita e torna al club, tanto a difendere la Patria ci saranno gli altri. Un calcio in cui non si è mai riusciti nemmeno per un giorno a credere alla imparzialità del Var, in cui però tutti fingono di credere come allocchi che ci sia il calcioscommesse. (tranne poi provare a riportare gli sponsor del betting sulle maglie, ovvio). Ora hanno pescato a strascico quel bravo manovale del pallone di Florenzi, padre di famiglia e niente fronzoli per la zucca, costretto all’autodafé davanti all’inquisitore di Torino: “Ho scommesso, ma non sul calcio”.

 

A livello disciplinare rischia solo una multa, informano i competenti. E allora perché questa sceneggiata, che puzza tanto di ipocrisia (“Florenzi è  uno dei casi che ho letto  sulla stampa, non mi sembra ci siano le condizioni che possono  destare preoccupazione”, ha detto l’ineffabile Gravina. Resta solo quel profumo di farlocco, anticamera di non crederci più. Se poi alla fine anche a chi porta i tuoi colori importa solo del pubblico pagante La Benamata cinesina di Steve Zhang ha appena chiuso un accordo con Qatar Airways, e già vende sconti ai tifosi per andare a vedere le partite par avion. E Gedi propone abbonamenti ai suoi giornali proponendo a concorso le magliette autografate della Juve. Ma se sei diversamente credente? E se a Urbano Cairo venisse in mente di omaggiare per un abbonamento un poster cartonato di Sanabria? Chissà se il fenomenale Jannik riuscirà nel miracolo di farci credere ancora che lo sport è una sospensione dell’incredulità, una magia. 

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  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"