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Il Foglio sportivo

Il segreto di Sinner è nascosto dietro a un sorriso 

Giorgia Mecca

Dopo New York non si è più fermato. Alle Atp Finals da protagonista. Gli resta da battere solo Djokovic

È stato il primo a presentarsi a Torino. Due giorni in anticipo rispetto a tutti gli altri, sei giorni prima dell’inizio del torneo. Lunedì 6 novembre alle 17, Jannik Sinner era già in campo al training center dello Sporting per preparare le Nitto Atp Finals. La sua seconda volta da top 8, la prima da qualificato. Nel 2021, l’allora ventenne, aveva giocato al PalAlpitour da riserva di Matteo Berrettini. Due anni dopo, Sinner arriva al penultimo appuntamento della stagione (l’ultimo saranno le Finals di Coppa Davis in programma dal 22 al 27 novembre a Malaga) più titolare che mai. Campione in mezzo ai campioni, come si legge nei cartelloni con la sua faccia stampata sopra sparsi ovunque per la città.

Jannik torna a casa dopo tre mesi vissuti intensamente: la vittoria del primo Master 1000 in carriera a Toronto, i crampi agli Us Open contro Alex Zverev, l’assenza in Davis, i successi da una parte all’altra del mondo, Pechino e Vienna, la notte passata in campo a Parigi Bercy e la scelta, saggia, di ritirarsi dal torneo per tutelare il suo fisico.

Da quest’estate Sinner non ha più sbagliato una mossa.

A settembre la decisione di rinunciare alla fase a gironi della Davis è diventata un caso nazionale, con accuse e commenti anche feroci. Come spesso accade, aveva ragione lui, che ha incassato il colpo e le accuse senza aprire bocca, è sceso in campo a Pechino e ha battuto uno dopo l’altro Carlos Alcaraz e Daniil Medvedev, il numero due e il numero tre del mondo, giocatori che fino a sei mesi fa sembravano molto vicini ma ancora irraggiungibili. Il russo, in particolare, è sempre stato considerato la bestia nera dell’azzurro: sei sconfitte e zero vittorie dal 2020 fino a quaranta giorni fa. A ottobre, però, qualcosa è cambiato e il cambiamento risulta evidente in campo e fuori.

Fuori dal campo, con tutto il rispetto di cui è capace si permette di rivolgersi ad Adriano Panatta dicendogli più o meno così: “Ti conosco, ma io devo pensare alla mia storia”. Dentro il campo, ha smesso di avere paura. A New York, era uscito dall’Arthur Ashe Stadium contro Alexander Zverev quasi in lacrime, dopo 5 set e 4 ore e 41 minuti di gioco. Maledetti polpacci, maledetta testa. Per tre set Sinner ha giocato con i crampi. Crampi di fatica? No, crampi di tensione. Di paura.

Quella sconfitta agli ottavi di finale è stata un click. All’inizio è sembrata un allarme, e da lì parole in libertà, paragoni con Alcaraz sempre in agguato, critiche dopo le vittorie e critiche dopo le sconfitte, come se avere 22 anni, essere il numero 4 del mondo, essere il protagonista di una nuova generazione dell’oro del tennis non bastasse mai: “Forte questo Sinner, ma come mai non riesce ad arrivare in fondo negli Slam?”.

A ogni torneo il tennis proclama un campione e almeno cinquanta sconfitti. Ogni settimana per quaranta settimane all’anno. E non importa se hai giocato cinque set, se il giorno prima hai avuto la febbre, se venti ore prima di dichiarare la resa al tuo avversario hai giocato un match fantastico che ha lasciato cicatrici sui muscoli a cui è meglio non pensare troppo perché il giorno dopo si torna in campo. Non importa se mangi, vivi e dormi in funzione dello sport, se trascorri il periodo di pausa tra un torneo e l’altro a provare a spostare il tallone di mezzo centimetro in avanti per imprimere più forza durante il servizio; tutto questo è il dietro le quinte del circuito, il dovere dei professionisti, in scena l’unica cosa che conta è che hai perso agli ottavi di finale agli Us Open. “La strada è quella giusta” ha trovato la forza di dire Sinner abbandonando l’ultimo Slam della stagione, e forse per un attimo anche lui aveva smesso di crederci.

Non è vero che o vinci o impari, certe volte perdi e basta e le sconfitte smettono di fare male dopo molti mesi. Tornato a casa da Flushing Meadows, Sinner è stato attaccato su due fronti, per la sconfitta in America e per la rinuncia alla Davis. Il dietro le quinte poco interessante per i critici è che dietro a ogni scelta, dietro a ogni trasferta, c’è una programmazione studiata nei minimi dettagli, una programmazione che deve tenere conto del fisico di un ragazzo di ventidue anni che non ha ancora smesso di crescere, che deve preservare almeno altri dieci anni di carriera. In Cina, quando ormai per molti Sinner era diventato un nemico, l’azzurro ha capito di essere pronto a vincere anche con i più grandi. Daniil Medvedev per esempio, sconfitto due volte in due finali; oppure Carlos Alcaraz contro cui ormai il bilancio è di 4 vittorie e 3 sconfitte in favore dell’italiano. L’obiettivo di Jannik Sinner a inizio stagione erano le Atp Finals, l’obiettivo è stato raggiunto subito dopo Djokovic, Alcaraz e Medvedev.

C’è un unico avversario ancora da battere per Sinner ed è Novak Djokovic che a Torino proverà a riconfermarsi campione in carica. Per il numero uno del mondo sarebbe la ciliegina sulla torta di una stagione quasi perfetta, con 3 vittorie su 4 Slam e una sola sconfitta, contro Alcaraz in finale a Wimbledon. Dopo quel torneo lo spagnolo non ha più vinto un titolo e anzi dopo gli Us Open ha detto: “pensavo di essere un uomo, invece sono ancora un bambino”, a dimostrazione di quanto sia complessa la costruzione di un campione, di quanto sia complicato avere vent’anni , di quanto sia difficile essere un ragazzo quando gli altri vedono solo il tennista e chiedono solo vittorie, come se le sconfitte non fossero nemmeno una possibilità.

“Sorridi di più”, ha detto un giorno Darren Cahill a Jannik Sinner. “Soprattutto quando sei in campo”. Sinner è ripartito da quella frase, promettendo al suo coach che avrebbe ascoltato il suo consiglio. Torino è il posto giusto per cominciare a farlo. 
 

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