Ibrahim Ba contro Roberto Baggio (foto Ansa)

La stella di Ibrahim Ba brillò un precampionato soltanto

Andrea Romano

L'ex ala francese fu una grande illusione del calcio della fine degli anni Novanta. Il Milan riuscì a soffiarlo a tutte le grandi d'Europa e di lui il presidente Berlusconi disse: "È è il nostro beaujolais nouveau, frizzante, spumeggiante, ma anche molto tecnico". Non fu così

Non un suo dribbling, non un suo gol, non una sua sgasata sulla fascia né tantomeno un suo assist al millimetro. A trasformare Ibrahim Ba in un’icona del calcio anni Novanta è stata essenzialmente la sua estetica. Testa ossigenata e corsa gommosa, con la maglia del Milan l’esterno francese è diventato il nume tutelare degli incompiuti, il santo protettore di chi ha deluso le aspettative altrui. La colpa è soprattutto di un paradosso. Perché il ragazzo cresciuto fra le strade di Medina, a Dakar, era il più appariscente in campo, ma anche quello che meno riusciva a essere determinante.

La sua storia è quella di un’autocombustione. Una stella che ha brillato nel cielo di Bordeaux prima di spegnersi proprio sopra San Siro. E tutto nell’arco di una stagione. Anzi, di un precampionato.

L’incipit della sua storia viene scritto in Senegal. Suo padre è un calciatore. Gioca come terzino sinistro ma ha una tecnica raffinata. Si chiama Iboua Ba, ma in patria tutti lo chiamano Eusebio, come la Pantera Nera. È un paragone generoso. Troppo. A 17 anni Eusebio Ba indossa già la fascia da capitano della Nazionale. Poi però la vita lo conduce fino alla periferia più remota del calcio. Prima il Diaraf. Poi il Le Havre, in terza divisione francese. Infine l’Abbeville in Serie B. Per suo figlio Ibrahim Eusebio è un esempio, ma anche un fardello. “Sentivo sempre parlare di lui - dirà tempo dopo - e mi sentivo piccolo piccolo”.

Da giovane il ragazzo considera il calcio più un passatempo che una passione. “Il centro di formazione del Paris Saint-Germain, nel quale mio padre è riuscito a introdurmi con fatica, mi ha rimandato a casa dopo qualche mese - racconta - Dopo ho fatto altro: ho continuato a giocare ma ho fatto anche qualche fesseria. Ero un po' ribelle. Partivo dal principio che la società era ingiusta, fatta male e se avevi veramente necessità di qualcosa dovevi prenderla. Niente di grave secondo me, ma mio padre quando veniva a recuperarmi in commissariato non era dello stesso parere... che botte”.

Iboua decide di intervenire in prima persona. Sottopone il figlio ad allenamenti strazianti. “Passato ore e ore a tirare calci al pallone fino a quando crollavo per la stanchezza”. I risultati cominciano ad arrivare.

Ibrahim entra nelle giovanili del Le Havre, poi nel 1996, a 23 anni, passa al Bordeaux. È qualcosa di molto vicino a un’apparizione. Ba è un’ala destra devastante. Segna sei gol, serve tre assist. Fino a conquistare la Nazionale. Già da febbraio Ariedo Braida vola spesso a vederlo giocare. Tanto che finisce per innamorarsene. Quell’esterno va comprato a tutti i costi. Anche perché il Milan si trova in una situazione disperata. In campionato chiude all’undicesimo posto. In Champions non passa nemmeno la fase a gironi, finendo dietro a Porto e Rosenborg. Serve una rivoluzione. Così Berlusconi richiama Capello. E poi apre il portafogli. Si dice che Don Fabio seguisse Ba già da quando allenava il Real Madrid. Galliani chiama subito il Bordeaux e chiede il prezzo dell’ala. La risposta del club non è un granché. I francesi hanno firmato un’opzione con il Barcellona e una con l’Arsenal. Ma ci sono anche Inter, Juventus, Real e Psg. Alla fine la spunta il condor Galliani. Ma per 11 miliardi di lire.

Quando arriva a San Siro Ba si ritrova proiettato nel Milan degli olandesi. Solo che sono quelli sbagliati. C’è Kluivert. C’è Bogarde. C’è Davids. E il resto della squadra non è poi molto meglio. L’arrivo di Ba crea un entusiasmo difficile da spiegare. Sembrano tutti pazzi di lui. Sfila in passerella a Parigi, viene invitato come ospite alle finali di Miss Muretto. Più tardi un sondaggio lo incoronerà come il calciatore più desiderato dalle donne italiane. Ibrahim è un istrione. Dice di adorare l’ossobuco, Dennis Rodman e “Il nome delle Rosa”. Non necessariamente in quest’ordine.

Il 24 luglio il Milan batte 3-2 il Monza in amichevole. Ba è devastante. A fine partita Berlusconi è raggiante: “Questo Ba è il nostro beaujolais nouveau, frizzante, spumeggiante, ma anche molto tecnico - dice - Per me non è una scoperta, l'avevo visto in cassetta”. Ibrahim è spaesato: “Non bevo vino, ma mi fido del presidente”. È una partita che non conta nulla. E tanto basta per far scoppiare una vera mania. "A Monza mi sono imbattuto in un ragazzo con la testa rasata, che sulla nuca aveva scolpito il mio nome” racconta Ba.

Alla prima di campionato, contro la Lazio, il francese trova il gol. Quello che sembra un avvio col botto in verità è poco più di un mortaretto. Ibrahim non segnerà più. Serve 9 assist, è troppo poco per salvare la sua stagione. In campo inizia a girare a vuoto. Così di lui si parla in maniera diversa. Una notte d’ottobre, di ritorno da Montecarlo, spalma la sua Mercedes E500 contro un guard rail in autostrada. Poco dopo si sfoga con il suo compagno di Nazionale Laigle, che racconta tutto alla stampa: “Mi ha raccontato che il Milan lo usa in chiave troppo difensiva e il lavoro d'inizio stagione gli pesa. Fa fatica e non si sente libero”. Il Diavolo crolla e arriva solo decimo. Ma gioca la finale di Coppa Italia contro la Lazio. Nella gara di andata Capello toglie Savicevic e inserisce Ba. Se ne pente subito. Al 75’ richiama il francese e manda in campo Leonardo. È l’episodio che preannuncia la fine.

L’anno dopo, con Zaccheroni, giocherà pochissimo. Poi verrà girato in prestito al Perugia. Al Milan tornerà ancora nel 2000 e nel 2002. Ormai del funambolo non resta quasi niente. Nel 2007, dopo stagioni ectoplasmatiche con Bolton, Çaykur Rizespor, e Djurgården, Ba torna per l’ennesima volta al Milan. Alla penultima giornata spinta la prima convocazione. “L’ho convocato perché mi sta simpatico”, spiega Ancelotti. Ibrahim non va neanche in panchina. La sua carriera finisce lì. Il suo culto da parte dei tifosi no. E oggi quell’icona del calcio passato compie 50 anni. 

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