Jude Bellingham e Giorgio Scalvini (LaPresse) 

Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA

Quanti discorsi da bar sulla salute del calcio italiano

Alessandro Bonan

Il nostro calcio oggi è un concentrato di denaro sprecato, di regole sbagliate, di dirigenti inadeguati, di strutture ormai fatiscenti. Ma per invertire la rotta non è mai troppo tardi, basta lasciarsi andare
 

Vi sono partite che lasciano inequivocabili indizi. Quella della nostra Nazionale contro l’Inghilterra, per esempio, dove abbiamo mostrato una inferiorità piuttosto netta. Inutile, a distanza di giorni, riferire la cronaca dei fatti. Perché al di là degli episodi, alcuni favorevoli agli Azzurri, si percepiva, nell’aria, quel non so che di squadra piccola posta davanti all’impossibile. Sensazione che ci è rimasta appiccicata addosso, come un pensiero notturno, tanto fastidioso da tenerci svegli 


Che cosa è il nostro calcio oggi? È una domanda molto grande, ma dobbiamo cominciare a farcela per non morire lentamente. Il nostro calcio oggi è un concentrato di denaro sprecato, di regole sbagliate, di dirigenti inadeguati, di strutture ormai fatiscenti. Nel mezzo, i calciatori, sempre di più padroni della scena, tra scommesse illegali, valutazioni spropositate e procuratori che sostanzialmente approfittano della situazione, privilegiando interessi di parte (e come dargli torto!). Generalizzo per non morire anch’io, in mezzo a questa confusione. E quindi mi scuso con chi trascino dentro il vortice della critica senza che se lo meriti. 

Faccio un discorso da bar, per quanto anche il bar ormai non conti più nulla. Ci siamo riempiti di stranieri mediocri grazie al famoso decreto crescita, penalizzando i settori giovanili, unica maniera per fabbricare calciatori e soldi. I presidenti si preoccupano di fare cassa con i diritti televisivi, dimenticando la qualità di uno spettacolo la cui formula andrebbe rivista totalmente: introducendo playoff e playout (con parametri di merito ben precisi relativi al campionato), riducendo a 16 le squadre di Serie A, valorizzando la B come una sorta di A2, serbatoio del grande calcio. Così facendo, gli stessi presidenti potrebbero dividere l’offerta alle tv, spacchettando il playoff e i playout dal resto della stagione. In un mercato libero e senza vincoli pluriannuali, si farebbero più soldi aumentando anche la qualità dei servizi. Chi va avanti guadagna tanto, chi cade in fretta guadagna meno. 

La sovrapposizione con le Coppe sarebbe compensata da un calendario meno infarcito di partite, effetto della diminuzione delle squadre in serie A. Il rischio d’impresa sarebbe calcolato: nessuno si priverebbe di uno spettacolo dal risvolto bruciante. Dentro stadi accoglienti, pieni di entusiasmo, i calciatori tornerebbero a correre come una volta, altro che scommesse. La competitività, il luccichio del pallone, aumenterebbero, acquistando quello splendore che adesso appartiene alla Premier League. Possiamo superarli, tornare a vincere, lasciando agli Arabi soltanto l’illusione, perché non sono i soldi la soluzione, semmai il problema. Segui il denaro, troverai il colpevole, disse un illustre. Non è mai troppo tardi per vivere meglio, basta lasciarsi andare, alimentare un pensiero laterale, scioccante, per molti proibito. Adesso basta però, esco dal bar, mi serve una boccata d’aria, il classico sospiro di sollievo. Che tutto quello che avevo dentro, ormai l’ho detto.

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