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calcio spagnolo

Il momento felice di José Luis Mendilibar a Siviglia è finito

Andrea Romano

L'allenatore che ha portato la squadra andalusa a una sorprendente vittoria in Europa League è stato esonerato. In rojiblancos tutto si crea e tutto si distrugge velocemente

La trama della storia è piuttosto contorta. Prima tetro incubo, dopo sogno scintillante, poi di nuovo incubo. Tutto in meno di sei mesi. Da domenica sera José Luis Mendilibar non è più l’allenatore del Siviglia. A condannarlo è stato un pareggio contro il Rayo Vallecano agguantato al minuto di recupero numero sei. Ma soprattutto una classifica dai contorni già orrendi.

In otto partite di campionato gli andalusi hanno raccolto appena 8 punti. Due in più del Celta Vigo di Rafa Benitez, malinconicamente terzultimo in graduatoria. Le cose non sono andate poi meglio in Champions League. Pareggio interno contro il Lens. Pareggio esterno contro il Psv Eindhoven. Significa che a inizio ottobre la stagione del Siviglia è già minata, compromessa. Andare avanti insieme non era più possibile. Per questo era meglio separarsi finché c’era ancora qualcosa da salvare.

Un’idea che negli ultimi anni in Andalusia hanno elevato a sistema e portato avanti con una dedizione pressoché totale. Il Siviglia "é una sedia elettrica" che ha fatto fuori tre allenatori in dodici mesi esatti, ha scritto Marca ricordando gli esoneri di Lopetegui (ottobre 2022) e Sampaoli (marzo 2023). "Il trituratore si è acceso di nuovo", ha precisato Aa, sottolineando come dal 2013 il club abbia silurato ben 10 allenatori: Michel, Sampaoli, Berizzo, Montella, Caparrós, Machín, di nuovo Caparrós.

Stavolta però la storia è diversa. Perché insieme a Mendilibar se ne va quella narrazione zuccherosa che si era cristallizzata nel corso dei mesi.

Quando il 21 marzo era stato chiamato in panchina, José Luis Mendilibar era un’entità assimilabile a quella dell’illustre sconosciuto, dell’uomo venuto da chissaddove. Il suo curriculum era un rebus. Valladolid, Osasuna, Levante, Eibar, Alavés. Un paio di subentri in corsa, un poker di esoneri, un nono posto come miglior piazzamento personale imbrattato dalla macchina di una retrocessione. In molti si erano chiesti cosa si facesse uno così sulla panchina di un club che aveva trasformato l’Europa League nel suo giardino di casa. Solo che la risposta era tanto evidente quanto difficile da pronunciare. Quel Siviglia, con appena due punticini striminziti dal baratro della Segunda División, era una squadra che lottava per sopravvivere. E quindi aveva un disperato bisogno di un tecnico abituato a lottare per sopravvivere. Il matrimonio era parso subito azzeccato.

Mendilibar aveva portato avanti un’opera di evangelizzazione fatta di parole semplici. Niente fronzoli, niente uscite dal basso, niente tiki-taka. Un Siviglia più basico, ma comunque efficace. Con lui i biancorossi risalgono la china in campionato. Ma in Europa League iniziano addirittura a volare. Eliminano il Manchester United ai quarti. Eliminano la Juventus in semifinale. La figura di Mendilibar è capovolta. Lo scudiero è diventato generale, stratega. I sogni mutano in concretezza. La finale di coppa contro la Roma è molto più di una partita. Il Siviglia che aveva fino a qualche settimana prima rischiava di sprofondare in B trova la sua catarsi. È una squadra brutta, sporca e cattiva (a volte anche in maniera esagerata). Va sotto, riprende la partita, quando è sul punto di cadere riesce a tenersi in piedi (anche grazie al rigore non concesso ai giallorossi da Taylor), poi nel momento più delicato impone la sua esperienza. Dal purgatorio dritti al paradiso. E tutto in centoventi minuti. L’uomo che era stato chiamato per salvare il Siviglia aveva conquistato un trofeo internazionale e lo aveva riportato in Champions League.

È un’impresa che tende al capolavoro, che fa deflagrare la gioia ma che porta a galla anche qualche imbarazzo.

Monchi saluta e si accasa all’Aston Villa. Lasciando un buco da novanta milioni nelle casse del club. Il nuovo direttore sportivo, Victor Orta, è titubante. Vorrebbe affidare la squadra a un allenatore con un profilo diverso, ma non può neanche cacciare l’uomo che aveva riscritto il futuro anteriore del club. Si va avanti insieme, dunque, con scarsa convinzione reciproca. E con un calciomercato cervellotico, culminato con il ritorno dello svincolato Sergio Ramos e con l’arrivo dal Real Madrid di Mariano, 15 minuti totali giocati in campionato e già due infortuni. Gli acquisti di Sow e Lekebakio servivano a dare una tensione più verticale alla squadra che, tuttavia, mal si innestava su un telaio pensato per giocare in maniera più orizzontale. La disfatta è inevitabile: 2 vittorie, 2 pareggi e 4 sconfitte. Fino a quando il club non è costretto a dire basta, a sostituire Mendilibar con Diego Alonso.

La favola del condottiero si è sbriciolata e quello che a giugno poteva essere un lieto fine si è trasformato in un addio amaro e triste, ma non ingiusto. D’altra parte lo aveva scritto Cioran: "Non c’è opera che non si ritorca contro il suo autore". E in un certo senso è stato così anche per Mendilibar. 

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