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In Borussia Dortmund-Milan, Leao vestirà i panni di Candido

Gino Cervi

Quel filo rosso(nero) che lega l'attaccante portoghese del Milan al protagonista del romanzo filosofico di Voltaire

"In Vestfalia, nel castello del signor barone di Thunder-ten-tronckh, c'era un giovinetto che da natura aveva sortito costumi soavissimi. La fisionomia annunciava l'animo, e retto giudizio con rara semplicità di spirito gli avevano procacciato, cred'io, il suo nome: Leãondido".

Potrebbe cominciare così, parafrasando la traduzione che Riccardo Bacchelli fa dell’incipit del Candido di Voltaire (1759), il racconto della partita di questa sera tra Borussia Dortmund e Milan, secondo turno del Gruppo F di Champions League. Si giocherà al Westfalenstadion, dal 2005 rinominato Signal Iduna Park per volgari ragioni di denaro. Volgari sì, ma che però servirono a salvare dal fallimento societario il Ballspielenverein Borussia 09 e.V. Dortmund, o, per brevità, il BVB 09.

Proprio in Vestfalia, guarda caso, prende le mosse il più celebre conte philosophique della storia della letteratura mondiale. Se non vi fate trarre in inganno dalla pigmentazione fisiognomica chi meglio di Rafa Leão, nel football contemporaneo, incarna la velocità e la leggerezza del rapidissimo romanzo volterriano?

Se Italo Calvino, tra le mille e mille enciclopediche cose sue, avesse scritto anche di calcio, guardando il saettare "col sorriso a fior di labbra" del milanista Leão vi avrebbe riconosciuto "la guizzante mobilità", la "sarabanda di leggerezza graffiante" dei personaggi filiformi con cui Paul Klee, nel 1911, illustrava in 26 incisioni il Candido di Voltaire. Da qui, infatti, iniziava Calvino a scrivere, nel 1979, il saggio Candide o la velocità. Proprio come il mondo descritto da Voltaire intorno al suo eroe, anche il calcio contemporaneo va a catafascio. Ma dal momento che in mezzo a questa giostra di disastri che è la vita umana, rapida e limitata, c’è sempre qualcuno che può dirsi più sfortunato di noi – che so? uno juventino in gita a Chiasso, un interista che s’impaura del suo abisso esistenziale… – non ha più di tanto senso darsi risposte filosofiche, come fa il povero leibniziano Pangloss col suo ottimismo provvidenziale o, peggio ancora, il pessimista e manicheo Martin, il quale "è portato a vedere nel mondo solo le vittorie del diavolo" (e a cui vorremmo, peraltro, dare spesso ragione per altri motivi).

     

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In fondo, anche noi, non facciamone una colpa se l’unica cosa che conta oggi, nonostante gli accadimenti di queste ore che tanto assomigliano per crudele incommensurabilità ai massacri della guerra dei Sette Anni, al terremoto di Lisbona del 1755, agli autodafé dell’Inquisizione portoghese, ai supplizi subiti dagli schiavi nelle piantagioni di canna da zucchero della Guiana – tutte catastrofi descritte da Voltaire al ritmo indiavolato di una comica del cinema muto –, sia quella di mettersi davanti alla tv e aspettare l’epifania di un repentino cambio di passo, del tiramollarsi di muscoli e tendini, di un palla-c’è-palla-non-c’è, dell’improvvisa e insopportabile emicrania del difensore vestfalico in livrea nerodorata e, alfine, dell’ilare spensieratezza goleante del candido lusitano sopravvissuto per 268 anni al suddetto terremoto.

Calvino scrive che "è un gran cinematografo mondiale che Voltaire proietta nei suoi fulminei fotogrammi, è il giro del mondo in ottanta pagine, che porta Candide dalla Vestfalia natia all’Olanda al Portogallo all’America del Sud alla Francia all’Inghilterra a Venezia in Turchia, e si dirama nei giri del mondo suppletivi dei personaggi comprimari, maschi e soprattutto femmine, facili prede di pirati e mercanti di schiavi tra Gibilterra e il Bosforo".

Ma a ben guardare anche il Wesftalenstadion di Dortmund, tra gli stadi più iconici della storia del calcio, funziona a meraviglia come macchina del tempo e della geografia. Il suo rettangolo di gioco nell’ultimo mezzo secolo è stato calpestato dal planisfero pedatorio. A cominciare dallo Zaire che esordì al Mondiale 1974 battuto per 2-0 dalla Scozia di Jordan e Lorimer, per passare poi all’Orange Clockword olandese, che, dopo un pareggio a reti inviolate con la Svezia, passeggiò su Bulgaria (4-1) e Brasile (2-0). Ai Mondiali del 2006, dopo aver visto sfilare Trinidad e Tobago e Svezia, Polonia e Togo, Svizzera e Giappone, Brasile e Ghana, fu palcoscenico della semifinale, con extratime all’ultimo respiro, della semifinale tra Germania e Italia, con il gol di Grosso e il raddoppio di Del Piero quasi sul filo del gong dei rigori. Cinque anni prima, invece, in un'altra finale al cardiopalmo, quella di Coppa Uefa tra Liverpool e Alaves, terminata 4-4 dopo il tempi regolamentari e decisa da un autogol del basco Geli, al 116’, accade un fatto curioso. A poco meno di ventisette anni di distanza, nello stesso stadio, anche se non nella stessa porta, segnarono padre e figlio: Johann Cruijff nella partita della seconda fase a gironi il gol del 2-0 contro il Brasile e Jordi Cruijff il temporaneo gol del 4-4 dell’Alaves contro il Liverpool.

In attesa di vedere il buon precettore Piolgloss dirigere stasera dalla panchina "il Migliore dei Milan Possibili", aspettiamoci un bel match philosophique. Potrebbe dirimerlo il Frate Giro(ud)flée che voleva farsi turco.

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