Luciano Spalletti (Ansa)

Il Foglio sportivo

Come nasce l'Italia di Spalletti

Marco Gaetani

Le idee del ct tra vecchi problemi e nuove suggestioni. Il ruolo di Di Lorenzo

Un’attrazione un po’ incosciente, l’affiorare di una strana voce che all’improvviso ti seduce. Non è reato chiedere in prestito a Giorgio Gaber e Sandro Luporini questa definizione del desiderio, anche se l’utilizzo è decisamente fuori contesto. Ma come spiegare altrimenti la molla che ha spinto Luciano Spalletti ad accettare la panchina della Nazionale, qualcosa di così lontano da sé da risultare perfino misterioso? Un allenatore che ha fatto del lavoro puntuale e ossessivo sui campi, giorno dopo giorno, l’essenza della sua stessa vita per decenni: quando non c’era una panchina, un talento da coltivare, uno schema da ricercare, i campi diventavano semplicemente quelli della sua meravigliosa tenuta appollaiata nei pressi di Montaione. Vigneti e oliveti a perdita d’occhio, il posto ideale per non pensare. Soprattutto, Spalletti è un uomo che non ha mai rinunciato a voler mettere i puntini sulle i, a costo di passare per lunatico, scorbutico, irascibile, semplicemente incompreso. 


Eppure la sfida azzurra di Luciano Spalletti sconfina nel poetico, nella fusione perfetta delle sue infinite anime: lo sguardo perso nel vuoto durante le partite che abbiamo imparato a conoscere in oltre 25 anni di carriera vissuti ai massimi livelli, stratagemma utilizzato per allontanare un pizzico di rabbia o semplicemente per andare alla ricerca di un’intuizione; le tirate accorate con e contro i giornalisti, monologhi profondi e interminabili in cui si mescolano calcio e vita; la capacità strabiliante di accendere e spegnere, di sparire per uno o due anni salvo poi riapparire come se avesse trovato l’elisir per ingannare il tempo. Spalletti è soprattutto uno studioso, uno che sa mettere, se necessario, il calcio sopra ogni cosa. Ed è questo che ci rende profondamente curiosi, sedotti dall’idea di una Nazionale messa in mano a un tecnico che ha fatto del lavoro tattico e sui giocatori uno dei pilastri del suo essere. Così come Mancini sorprese tutti rimettendo in carreggiata la Nazionale in tempi brevissimi dopo il tracollo di Ventura, ora tocca a Luciano da Certaldo trovare il tasto giusto per azzerare tutto ciò che di sbagliato si è accumulato in questi mesi. Quale sarà, la nuova idea geniale di un allenatore che ha saputo far cambiare veste a decine di calciatori nel corso di questi anni? 

 

Del suo ultimo Napoli abbiamo ammirato il genio di Kvaratskhelia e la tenacia famelica di Osimhen, ma le due rivoluzioni vere erano altrove: Di Lorenzo che si trasforma da treno in corsa sulla fascia a catalizzatore di gioco, Lobotka che risulta l’ennesimo regista rigenerato dal tocco magico di Lucio. E se capitan Giovanni sarà certamente uno dei suoi punti di forza, viene da chiedersi a chi, Spalletti, riserverà il ruolo in assoluto più delicato. Siamo in una fase storica in cui abbondiamo di numeri 8  (Barella, Frattesi, Tonali e Locatelli tra i più affermati, il dirompente Casadei all’orizzonte) ma fatichiamo a immaginare il perno del centrocampo che verrà. Eppure, i nomi giovani e intriganti non mancano: da Samuele Ricci, a lungo inseguito da Sarri per la sua Lazio ma blindato da Urbano Cairo al Torino, a Nicolò Rovella, finito proprio alla corte biancoceleste per apprendere gli ultimi segreti del mestiere di regista. Da questa scelta, dalla direzione che Spalletti prenderà nel bivio tra voglia di innovare e necessità di adattare (e adattarsi), capiremo molto del presente e del futuro della nostra Nazionale. 

 

L’attacco è il reparto che ci ha provocato più mal di pancia negli ultimi anni. Nei confronti di Immobile il tiro al bersaglio è ormai datato, eppure sarebbe interessante vederlo agli ordini di Spalletti, un allenatore che spesso, nelle sue analisi tattiche, ha raccontato dell’importanza di “andare a vedere cosa c’è alle spalle dei difensori avversari”, concetto portato allo sfinimento, non a caso, dal suo Napoli, che amava il controllo del pallone ma sapeva, una volta indirizzate le partite, far partire Osimhen tra i centrali rivali a suon di lanci in verticale. La sfida più intrigante arriva dall’Inghilterra, ha soltanto 24 anni eppure, per molti, ha già il sapore della causa persa.

Chissà quale sarà il ruolo di Nicolò Zaniolo nell’Italia spallettiana che sta per cominciare la propria corsa: ha già vissuto mille vite e solo le primissime sono state pienamente soddisfacenti. L’ombra degli infortuni pare alle spalle e a preoccupare c’è dell’altro: la ricerca della stabilità in campo, di uno spartito da seguire per non perdersi e per non farci perdere un ragazzo che, soltanto quattro anni fa, sembrava la stella più luminosa del firmamento calcistico italiano. Mancini lo aveva portato in Nazionale senza nemmeno mezza presenza in Serie A perché, come insegnava Empedocle, il simile conosce il simile: ne aveva subito scorto talento e tormento, ingredienti irresistibili e così affini all’ormai commissario tecnico dell’Arabia Saudita. Erano settimane in cui i paragoni per il giovane Zaniolo, passato in fretta dalla Primavera dell’Inter alla Nazionale via Roma, erano quelli di centrocampisti box-to-box, da Gerrard a Lampard, e invece l’esplosione fu da attaccante esterno: la direzione presa sembra quella, ma nessuno meglio di Spalletti sa vedere ciò che è invisibile agli occhi. Le suggestioni sui nomi potrebbero andare avanti all’infinito: Raspadori centravanti, ala chiamata a cercare spazio in mezzo oppure alle spalle di una punta? Retegui nuovo numero nove da sfamare con cross e filtranti? Baldanzi lanciato in pianta stabile tra i grandi? 

Ma il mistero più grande, alla fine di tutto, resta Spalletti stesso, che dovrà farsi impermeabile alle critiche, se arriveranno, e ai facili entusiasmi, se ce ne saranno. Isolarsi da tutto quel carico emozionale che comporta l’essere commissario tecnico di una Nazionale con un passato glorioso, un presente che ci vede all’inseguimento di una qualificazione europea complessa e un futuro in cui dovremo necessariamente tornare a mettere il naso in un Mondiale, senza dimenticare che l’ultima gara a eliminazione diretta in una Coppa del mondo l’abbiamo giocata il 9 luglio del 2006. 

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