Foto Epa, via Ansa

a canestro

Ai Mondiali Rondae Hollis-Jefferson era quasi il clone di Bryant

Francesco Gottardi

La Giordania è uscita dal torneo dopo tre sconfitte su tre, ma il numero 24 naturalizzato giordano è il secondo miglior marcatore dopo Doncic. E quando giocava nelle Filippine dagli spalti si sentiva cantare “Kobe, Kobe, Kobe”

All’ennesimo jumper dalla distanza, il pubblico di Pasay city ha iniziato a cantare. “Kobe, Kobe, Kobe”. Mica una visione. Sul parquet c’è un numero 24 a sua immagine e somiglianza: snello e rasato, movenze da black mamba, fascia al braccio e micidiale propensione ai canestri difficili. Mettiamoci pure che gioca nella nazionale più evocativa di tutte, inglese alla mano – Jordan – ed ecco che l’insospettabile Rondae Hollis-Jefferson diventa di colpo un fenomeno globale. La Fiba lo incorona già dopo la prima partita del Mondiale: “Bryant da lassù avrà guardato gli highlights, sorridendo”. Lui in zona mista risponde incredulo. “Per me vuol dire molto, è un onore. Esiste un solo Kobe. Ma per sentire questa energia fino al campo e riuscire a segnare così tanto, significa che Dio era con me. E Kobe pure”.

Non è un’esagerazione. La Giordania è stata eliminata con tre sconfitte su tre, ma se ha dato battaglia lo deve soltanto al talento della guardia appena naturalizzata dagli Stati Uniti. 24 punti contro la Grecia, 39 contro la Nuova Zelanda – compreso il gioco da quattro allo scadere che ha trascinato il match ai supplementari –, 20 anche oggi nonostante l’imbarcata per mano di Team Usa. Hollis-Jefferson è il secondo miglior marcatore di questi Mondiali, dietro il solo Luka Doncic. A 28 anni ha sfoggiato doti atletiche non comuni, schiacciate da Space Jam, triple senza senso – se non con la benevolenza di qualche santo in paradiso, appunto. È alto 1 metro e 98, esattamente come Bryant. Ma soprattutto gli assomiglia in quei fondamentali a regola d’arte, con e senza palla. L’unica differenza, si fa per dire, è che Rondae è mancino. Il clone che Kobe non sapeva di avere. “Il mio amico Shabazz Napier”, fresco di scudetto con l’Olimpia Milano, “non fa che dirmi di fare il test del Dna: sostiene che potremmo essere parenti”.

E vai a sapere, delle volte. Il colmo è che Hollis-Jefferson è pure nato in Pennsylvania, come Bryant. “Quando ero ragazzo”, racconta lui, “molti amici più grandi del mio quartiere avevano giocato contro Kobe alle superiori. Adoravo ascoltare i loro aneddoti sul campione”. Oggi ogni cosa in Rondae – tranne l’acconciatura, a rigor di cronaca, ispirata ‘all’allenatore dell’anima’ Jay Shetty – è un consapevole omaggio alla leggenda dei Lakers. E quasi ci si dimentica del suo dignitoso passato Nba: circa 10 punti a partita in sei anni, tra 2015 e 2021, da Brooklyn a Portland passando per Toronto. Che col tempo Hollis-Jefferson sia finito nello sperduto campionato portoricano è un altro mistero della pallacanestro. O forse il preambolo migliore per volare nelle Filippine e sorprendere tutti. Pure sé stesso. Pure la memoria collettiva del 24 per antonomasia.

Quattro anni fa Kobe era stato nominato ambasciatore della scorsa edizione dei Mondiali, disputata in Cina. È stato il suo ultimo incarico ufficiale prima del tragico incidente: evidentemente, il lavoro non è ancora finito. Chiedere a Hollis-Jefferson, o a quel che rappresenta.