Kobe Bryant era il basket

L'ex cestista dei Los Angeles Lakers è morto a 41 anni in un incidente in elicottero. Il basket, l'Italia e quel modo di giocare unico e irripetibile

Umberto Zapelloni

La notizia che arriva da TMZ è di quelle che ti entrano come una lama. Vicino al cuore. Kobe Bryant non c’è più. È caduto in elicottero ed è morto a 41 anni.

 

Kobe era il più italiano dei grandi campioni americani e non soltanto perché parlava la nostra lingua meglio di tanti calciatori nati dalle nostre parti. Era italiano perché ogni tanto gli partivano le mani mentre parlava, perché amava la nostra cucina, perché a Reggio Emilia aveva tanti amici figli degli anni trascorsi in Emilia seguendo papà Joe. Se era diventato uno dei più grandi campioni della Nba, lo deve proprio all’Italia che lo ha messo per prima su un parquet, che gli ha insegnato il valore dei fondamentali, la base su cui poi ha costruito la sua leggenda con la canotta dei Lakers e della nazionale Usa con cui, non va dimenticato, conquistò due ori olimpici a Pechino e Londra.

 


Foto LaPresse


 

Kobe era il basket, era un certo tipo di basket fatto a misura di uomini che non avevano muscoli da culturisti o altezze da grattacieli. Non arrivava a i due metri, pesava meno di 100 chili. Ma sul campo ballava, leggero e spettacolare. Era innamorato del gioco e lo ha voluto sottolineare il 29 novembre 2015 quando ha annunciato il ritiro con una lettera che cominciava così: “Caro basket, dal momento in cui ho cominciato ad arrotolare i calzini di mio padre e a lanciare immaginari tiri della vittoria nel Great Western Forumho saputo che una cosa era reale: mi ero innamorato di te. Un amore così profondo che ti ho dato tutto dalla mia mente al mio corpo dal mio spirito alla mia anima…”. E per questo lo hanno amato tutti, anche i tifosi delle squadre avversarie. Gli hanno sempre riconosciuto l’impegno e il rispetto. Kobe sapeva essere spietato in campo, ma poi sapeva sempre incantarti con le parole. Gli piaceva raccontare e raccontarsi tanto che nel 2018 aveva vinto il premio Oscar insieme al regista Glen Keane per il miglior si cortometraggio d’animazione, quel Dear Basket, ispirato alla sua lettera.

 

Una delle ultime volte che lo avevamo incontrato a Milano aveva raccontato di questi progetti, di come voleva mettersi a scrivere storie per ragazzi, storie che potessero ispirare. Aveva solo quattro figlie femmine e la più grandicella - morta nell’incidente con lui - con il pallone ci sapeva fare proprio come papà che se ne è andato nel giorno in cui LeBron lo ha superato nella graduatoria dei marcatori di tutti i tempi dove era al terzo posto. Uno strano gioco del destino. Ma Kobe è uno di quei campioni che dal cuore non se ne andranno mai.

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