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la diciannovesima tappa

La triste gioia di Mohoric al Tour de France

Giovanni Battistuzzi

A Poligny vince il corridore sloveno al termine di una tappa appassionante, uno scatto continuo, una fuga piena di corridori di determinazione e ostinazione più inscalfibile del Tungsteno. Le lacrime e la difficoltà di fuggire dalle disavventure della vita

Quando alla fine del Tour de France manca poco e le energie rimaste sono ancor meno dei giorni che mancano a Parigi, c'è un'unica cosa da fare: fregarsene di ciò che le gambe suggeriscono, che è sempre il riposo, e fare affidamento solo sulla testardaggine.

Matej Mohoric e Kasper Asgren sono uomini di gamba buona e testa dura, gente che non ha paura del mal di gambe, del vento, di sbagliare per troppa foga. Gente che ama pedalare e non si sbaglia mai per troppo amore. Si sono ritrovati fianco a fianco sul rettifilo finale che portava sotto lo striscione d'arrivo. Al primo era da un po' che non accadeva, al secondo era successo ieri. Kasper Asgren aveva scelto il momento giusto per dare avvio alla sua volata, Matej Mohoric forse aveva aspettato un filo di troppo ad accelerare. Ha però insistito, non poteva sbagliare, non oggi, non così. Non c'era solo in ballo la vittoria, c'era di più, c'era il sentimento, quel taglio in pieno cuore che era apparso il 16 giugno quando seppe della morte di Gino Mäder e che aveva riaperto anche tutte le altre ferite. Gli dedicò la vittoria al Giro di Slovenia il 18 giugno, ma non poteva bastare. Ha caricato il suo colpo di reni. È un arte il colpo di reni, questo sempre, a volte è un atto per fuggire alla disperazione, come oggi. C'è voluto un po' per capire chi tra Asgren e Mohoric avesse vinto. I due aspettavano il verdetto ognuno accerchiato da facce note, gente amica. Mohoric era in piedi, a stento tratteneva le lacrime, in bilico tra ciò era appena successo e il tumulto che sentiva dentro. Quando è arrivata l'ufficialità tutto questo è tracimato in lacrime grosse, disperate, più amare che dolci. Aveva vinto e questa vittoria era più grande di lui perché c'era di mezzo tutto quanto non era andato per il verso giusto in quest'anno: le occasioni perse, gli errori compiuti, gli obbiettivi mancati, i sacrifici fatti, gli amici andati. Serve avere la testa dura per non farsi abbattere quando tutto sembra girare storto, quando nonostante il lavoro fatto le gambe non girano come si vorrebbe girassero.

Ci sono corridori che sono più testoni di altri, che hanno più volontà di altri. Di solito li vedi indomabili cercare di andarsene dal gruppo in cerca di una giornata da ricordare per il resto della carriera. O sono anime leggere alla ricerca dell'estasi montana, quando le strade scorrono sotto le vette, o sono bestioni da traino, gente da soma e da pianura, quando il percorso si tiene lontano dalle montagne. C'è mai da fidarsi di questi ultimi, è gente tosta, di determinazione e ostinazione più inscalfibile del Tungsteno. E quando si trova davanti certa gente le tappe diventano una rincorsa continua, un lungo uau.

Oggi al Tour de France, verso Poligny, di gente del genere ne era pieno il gruppetto che faceva d'avanguardia alla corsa. A partire dai due che hanno provato l'impossibile: Victor Campenaerts e Simon Clarke. Potevano pedalare tra altri 34, hanno preferito farlo da soli. Va così quando la consapevolezza di essere i meno veloci in una volata ti impone la necessità del rischio. Campenaerts e Clarke non hanno mai difettato in coraggio. Si sono fatti fianco a fianco una trentina di chilometri, hanno dato qualche preoccupazione a tutti i fuggitivi, poi a Clarke è venuto un crampo e Campenaerts ha capito che tutto era finito: da soli non si va da nessuna parte. Non si è dato per vinto, ha continuato, ha cercato comunque di portare a termine un'impresa che sapeva benissimo impossibile. Era davanti e finché si è davanti non si può mai sapere come può andare a finire, devono comunque venirti a prendere. Kasper Asgren, Matej Mohoric e Ben O'Connor lo hanno raggiunto poco prima dell'ultima salita di giornata.

Verso Poligny però anche quelli che avevano la consapevolezza di essere veloci, pure in una volata a gruppo compatto, hanno deciso che non era il caso di fidarsi troppo degli inseguimenti affidati ai compagni – ieri si è visto che le gambe fanno fatica a girarle anche chi di solito le sa far girare alla grande – e toccava far da sé, rischiare in prima persona. Mads Pedersen e Jasper Philipsen hanno provato a trasformarsi in fuggiaschi dai primi chilometri. Al primo è andata meglio che al secondo, il secondo ha raggiunto il primo dopo lo sprint intermedio, sfruttando la distanza creatasi per la volatina, che in realtà non c'è stata. Fa sempre strano vedere dei velocisti che se scappano dal gruppo. Li raccontano come succhiaruote, quasi fossero dei parassiti, bravi solo a mettere il naso fuori dalle scie per poche centinaia di metri. È mica così, sono ben più di questo – e non sarebbe nemmeno facile fare “solo” questo. Sono corridori veloci, i più veloci, e ci vuole fegato a pedalare a sessanta all'ora vicinissimi ad altre decine di altri corridori che pedalano a sessanta all'ora. Vorrebbero sprintare, perché questo è quanto di meglio sanno fare, quando capiscono che la volata può essere una chimera eccoli che si mettono in proprio, cercano di disputarla comunque. Mads Pedersen e Jasper Philipsen si sono contesi il quarto posto. Poteva andar meglio, poteva andare molto peggio. Si sono accontentati, si sono concessi una giornata a vedere l'effetto che fa essere inseguiti (anche se nemmeno troppo).

Il gruppo ha concesso 13'43” ai fuggitivi. Thomas Pidcock ha beneficiato di 13'04”, è salito di tre posizioni, che sono poco, un nulla, ma comunque qualcosa. A inizio Tour de France aveva detto di essere in Francia per vivere alla giornata, senza ambizioni di classifica generale. Per qualche giorno c'ha creduto, poi è arrivata la crisi. Oggi ha sperimentato la vita da fuggiasco. La speranza, per noi appassionati, è che l'abbia trovata gradevole. I grandi interpreti delle fughe stanno invecchiando, c'è bisogno di sostituti all'altezza.

 

Tour de France, 19a tappa: ordine d'arrivo e classifica generale

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