(foto Ansa)

sull'erba di londra

Carlito's Way. Così Alcaraz si è preso il tennis "dei vecchi"

Luca Roberto

La spagnolo che trionfa a Wimbledon (col sorriso) dimostra di essere sulla strada dei marziani Federer, Nadal e Djokovic. Ora la vera domanda è se sarà in grado di superare i suoi predecessori

Eviteremo di scrivere “passaggio di consegne”, “il tennis ha un nuovo re”, “il cielo è giallo-rosso sopra Londra”. Perché la vittoria di Carlos Alcaraz a Wimbledon merita di meglio. Solo chi Carlitos non lo aveva visto arrivare per tempo pensava che fosse un giocatore “normale”. Così che quando domenica si è trovato a servire sul 5-4 al quinto set per portarsi a casa il torneo davanti a Novak Djokovic, a migliaia di tifosi incravattati, al royal box, in molti ingenuamente hanno pensato al precedente del 2019: il serbo che rimonta Roger Federer, gli cancella due match point, in pratica gli chiude la carriera. E invece no, Alcaraz aveva quella fretta che solo i marziani possiedono. Non quella del migliorarsi secondo standard e tappe e miglioramenti progressivi, bensì di imporre standard e tempi propri.

Negli ultimi vent'anni solo i fab four (Federer, Nadal, Djokovic e Murray) avevano festeggiato un titolo all'All England Lawn Tennis and Croquet Club. E' il motivo per cui la finale di due anni fa agguantata da Matteo Berrettini l'abbiamo celebrata con tanto di medaglia al Quirinale e a Palazzo Chigi. Poi è arrivato lui, questo ventenne murciano elastico e robusto che smorza lobba picchia passa da fondo si tuffa a rete e non si capisce ancora se sia un giocatore d'attacco o un giocatore di difesa: è tutt'e due come meglio non si potrebbe. Prima di questi Championship aveva giocato soltanto tre tornei su erba (l'ultimo dei quali, tre settimane fa al Queen's, l'aveva pure vinto).

Al Roland Garros, nella semifinale contro Djokovic, s'era dovuto arrendere ai crampi “per la pressione”. Forse, in quei giorni, mentalmente si ripeteva quel verso del londinese Loyle Carner che dice: “I've got pleasures, becoming pressures. They make me want to drift away” (Avevo dei piaceri, sono diventate pressioni. Mi fanno venire voglia di andare alla deriva). Ha usato quella specie di frustrazione per tornare a sorridere, lo fa sempre in campo. E allora s'è lasciato dietro la solita litania stanca su quanto e come questi gggiovani riusciranno o no a sovvertire il dominio dei vecchi. E s'è preso tutto. Come già aveva fatto agli Us Open dell'anno scorso. Ma questa volta è diverso.

La finale di domenica, quella che ha portato il sette volte vincitore del torneo a concludere la partita in lacrime, lui che era ancora in corsa per completare il grande slam e portare il computo totale di major a quota 24, ha provato una cosa più delle altre: e cioé che Carlos Alcaraz non compete con Holger Rune, Jannik Sinner, Stefanos Tsitsipas, Alexander Zverev, Casper Ruud, Andrey Rublev, Daniil Medvedev, che sono giocatori forti, ottimi. No, Alcaraz ha piegato la cosiddetta Next gen verso un'interpretazione tutta personale. Perché la domanda che ci si è iniziati a fare da quando quasi senza pathos ha vinto la partita, si è accasciato nei pressi della rete tutto contentone, ha rincorso in tribuna la famiglia e il suo coach Juan Carlos Ferrero, è dove potrà fermarsi questo numero uno che non ha alcuna intenzione di restare a guardare gli ultimi scampoli di carriera degli extraterrestri.

A Parigi Djokovic aveva espresso, non esplicitandola però, la voglia di continuare a giocare solo per il gusto dei record. Al punto che pure uno come Mats Wilander era arrivato a chiedersi: “Ma perché non può pensare di vincerne 30, di slam?”. L'anno prossimo, poi, sarà pure con ogni probabilità l'ultimo anno nel circuito di Rafa Nadal. Che già s'è affrettato a far recapitare al connazionale tutte le lodi per l'incredibile trionfo londinese. Giocheranno, Djokovic e Nadal, sapendo che l'èra che aveva avuto inizio con Roger Federer a contendere loro la vetta del mondo tennistico, la concluderanno con un pischello che ha già le loro sembianze, il loro pedigree, ma senza potersi dire più nadaliano federeriano o djokoviciano che sia. E' semplicemente Alcaraz. Hanno scritto che è il loro erede ma chissà: magari stabilirà lui stesso precedenti che nemmeno adesso riusciamo a immaginare. Per la stessa ragione con la quale non ci si immaginava che avrebbe stravinto così presto. E con che stile, con che grazia. Sempre col sorriso.

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