Neilson Powless in maglia a pois al Tour de France 2023 (foto Ap, via LaPresse)

Il Foglio sportivo

Le montagne del Tour de France sono a pois

Giovanni Battistuzzi

Le maglie che vestono i capiclassifica nelle grandi corse a tappe sono tutte monocromatiche. A parte una, quella che caratterizza il miglior scalatore della Grande Boucle. Venne istituita nel 1975, da allora ha colorato le salite francesi

È mica tutto giallo al Tour de France. Certo c’è niente di più importante, prestigioso, ambito della maglia gialla, quella che dà accesso al gradino più alto del podio di Parigi con fondale l’Arc de Triomphe – più maestoso e imponente che bello, ma tant’è – al tramonto. Il giallo Tour è grandeur, il resto è una carovana che gira per le strade di Francia e dona a chi è lì a bordo strada un mescolio cromatico che diventa quasi psichedelico al passaggio del gruppo. Si resta sempre stupiti quando si vede passare per la prima volta dal bordo della strada il gruppo. È un turbine, una macchia coloratissima in rapido movimento. 

È più colorato di un tempo il gruppo. Il ciclismo ha progressivamente abbandonato la sua storia di maglie monocromatiche, al massimo bicolori, ha abbracciato l’abbondanza. Non ha però rinunciato del tutto al  monocolore: è rimasto il distintivo del capoclassifica. Maglia gialla o rosa o rossa, maglia verde o ciclamino o blu, sempre bianca per i giovani, che i giovani ricordano la purezza. Non sempre è così, non sempre lo è stato, ma il tentativo andava, va, fatto. 

Poi c’è la maglia a pois: pallini rossi su fondo bianco. C’entra niente con tutte le altre maglie quella a pois. Piace per questo, è amata per questo. La più amata in generale, diceva un sondaggio dell'Équipe qualche anno fa. Sarà perché vestirsi di giallo è da sboroni, da chi se la crede un po’ troppo; sarà perché è po’ buffa, buona per scherzarci su; sarà perché rappresenta la montagna, la veste, o quanto meno la dovrebbe vestire, lo scalatore più forte e si sa quanto piace la montagna a chi va in bici. Chi pedala finisce sempre a farsi una salita, anche se prosciuga gambe e fiato, anche se mentre si sale partono bestemmie e domande inutilmente esistenziali: ma chi me lo fa fare? Nessuno. E questo è il bello

Ed è bello pure vedere l’effetto che fa le montagne puntinate di pois. C’è niente di più cittadino del pois, più moderno del pois. Iniziarono a piacere nell’Ottocento, prima erano considerati di cattivo gusto: ricordavano le imperfezioni della pelle, i bubboni. Non piacevano, se non ai boemi e alle donne della nobiltà prussiana. Dalla Boemia hanno raggiunto le capitali europee seguendo il dilagare della moda di ballare la polka. Erano esotici, si sono francesizzati. A tal punto da essere diventati il simbolo delle montagne francesi dal 1975. Ci ha pensato il ciclismo a portarli in montagna, nessuno aveva mai osato tanto lassù. Sono diventati il loro segno di riconoscimento. Hanno aggiunto senso alle sgroppate montane. Prima di allora per chi prendeva più punti sui Gran premi della montagna c'era solo un premio finale e una stretta di mano. Il Giro d’Italia ci arrivò un anno prima a capire che dare una maglia al miglior scalatore poteva essere una trovata vincente. Vincenzo Torriani la volle verde come i boschi delle montagne. Ora è blu Mediolaum.

Oltralpe la creò Félix Lévitan, il direttore di allora del Tour de France. La volle coi pois la maglia che rendeva evidente chi vinceva più Gpm, non sempre il miglior grimpeur, ma a volte, spesso, c’azzeccava. La volle così forse per riandare indietro nel tempo, tornare all’epoca nel quale il ciclismo per lui era solo un innamoramento bambino. Aveva sessantaquattro anni nel 1975, aveva superato un inverno difficile, litigato malamente con il ministro dello Sport francese e il sindaco di Parigi per la sua idea di spostare l’arrivo della Grande Boucle dal Parc des Princes all’Avenue des Champs-Élysées. Lo volevano cacciare, sostenevano che era un’idea sciocca. Cadde nella nostalgia del tempo nel quale era di casa al Vélodrome d’Hiver, la casa del ciclismo su pista di Parigi, il tempio della velocità raso al suolo perché un incendio l’aveva danneggiato e perché era il 1959, la motorizzazione di massa avanzava e delle bici nei velodromi fregava un po’ meno alla gente. 

Pensava a questo Félix Lévitan e pensava al suo grande amore bambino, a Henri Lemoine, ai suoi allunghi eccezionali nel medio fondo, alle cento vittorie di fila al Vel d’Hiv, alle lotte con Adolph Verschueren dalle quali spesso usciva sconfitto. Pensava soprattutto alla sua maglia bianca coi cerchietti rossi. Aveva tifato sfegatatamente per quel corridore che vestiva sempre una maglia bianca coi cerchietti rossi. Poi erano diventati amici, si fermavano a chiacchierare ore al Bois de Boulogne per ore. Un giorno Lévitan chiese a Lemoine: “Ma se il Tour istituisse una maglia a pois per premiare il migliore scalatore?”. Lemoine rispose: “Ne sarei onorato. Sarebbe bellissimo”.

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