La stella

Da Genova all'Nba. Paolo Banchero alla scoperta delle sue origini. "Ho sempre sognato di visitare in Italia"

Umberto Zapelloni

"La mia famiglia arriva dal nord Italia e mio padre me ne ha sempre parlato". Il giovane talento del basket, eletto miglior matricola della Nba, ha raccontato la sua vita ai microfoni di Sky: dalla passione per il football alla notte del draft

Paolo Banchero è un italiano che non parla italiano e non gioca con la maglia azzurra. D’altra parte è venuto in Italia per la prima volta a fine giugno poche settimane dopo esser stato eletto miglior matricola della Nba. Sky lo ha convocato nei suoi studi per festeggiare i suoi primi 20 anni e lo ha messo di fronte a Federica Masolin per una bella chiacchierata. Dalle origini italiane al futuro. Il ragazzo è giovane ma ha già un sacco di cose da raccontare. Peccato solo non abbia scelto la maglia azzurra. Ma se sei destinato a diventare una stella Nba e ti chiama la nazionale a stelle e strisce è difficile parlare di tradimento.

“È la prima volta che vengo in Italia - ha raccontato Banchero nell’intervista registrata a fine giugno -. Tutti sanno che parte della mia famiglia proviene da questo Paese e io ho sempre sognato di visitarlo. Essere qui è davvero speciale per me. La mia famiglia arriva dal Nord Italia, da Genova, e mio padre mi ha sempre parlato delle mie origini”. Qualche domanda su quel cognome deve essersela fatta: “Il mio nome negli Stati Uniti è unico. Crescendo mi sono accorto che nessuno si chiamava come me. Ero curioso, volevo sapere perché mi chiamassi così, per questo mio padre mi ha raccontato delle mie origini, di quel ramo di famiglia che avevo in Italia e di cosa ne era stato. Da quel momento mi ha sempre intrigato l'idea di venire qui e saperne di più”. Per un attimo Petrucci e Pozzecco si erano illusi che fosse curioso anche dell’effetto che fa una maglia azzurra…

 

 

“Mia madre mi ha sempre ispirato molto. - continua - Era un'allenatrice di basket, e da quando sono nato fino a quando avevo 13, 14 anni ha sempre continuato ad allenare. Da ragazzino ogni giorno andavo in palestra con lei, così che potesse tenermi sott’occhio: mi portava agli allenamenti, mi permetteva di stare in giro e vedere come allenava la squadra. È sempre stata severa con me e mi ha insegnato molte cose sia sul basket che sulla vita. Al tempo non è stato facile, io ero solo un ragazzino e vedevo mia madre essere molto dura con me; ma quando diventi più grande e ti guardi indietro realizzi che molti di quegli insegnamenti di allora mi sono utili ancora oggi e per questo non posso che esserle eternamente grato. Nel basket è stata sicuramente la fonte d’ispirazione più importante per me”. Quasi mammone. Un perfetto ragazzo italiano.

“Il football americano è stato il mio primo grande amore, anche se sono cresciuto giocando a basket. Mio padre giocava a football - proorio football non calcio - Quando ho cominciato, da subito ero abbastanza bravo, mentre ho dovuto lavorare molto di più per migliorare nel basket”. Viene difficile da credere: “Su un campo da football tutto mi riusciva più naturale. È stato il mio primo amore, sono cresciuto amandolo, giocandoci con i miei amici, guardandolo in tv. Ancora adesso lo seguo spesso”. Poi per fortuna ha cominciato a crescere: “Quando sono arrivato al liceo però ho iniziato a crescere molto e dopo il mio primo anno ho dovuto smettere perché ho raggiunto i 2.03 metri: stavo iniziando a giocare a basket in maniera più seria, e quando arrivi a una certa altezza diventa difficile stare su un campo da football”.

L’anno scorso è volato via, dal nulla è diventato una stella. prima scelta al Draft, rookie dell’anno: “È successo tutto molto rapidamente ma ho imparato molte cose. Sto vivendo il mio sogno: se qualcuno mi avesse detto a 13 o 14 anni che sarei diventato la prima scelta al Draft, probabilmente l’avrei guardato come se fosse pazzo e avrei riso, perché mi sarebbe sembrata una cosa fuori da questo mondo anche solo pensarlo. Ma restando concentrati, lavorando duro, le cose sono successe in maniera naturale, Dio aveva un piano per me e sono stato fortunato a farcela”. Dio aveva un piano per me è una frase che gli esce dalla fede, dalla cultura famigliare. “La serata del Draft - continua - non la dimenticherò mai. Essere selezionato, sentire il commissioner NBA pronunciare il mio nome è stata la realizzazione di un sogno. Ho pianto di gioia per la prima volta. Non avevo mai provato emozioni del genere. Mi ricordo tutto di quello che è successo quella sera, le persone dei Magic che ho incontrato, la conversazione col mio allenatore al telefono, ricordo tutto in maniera così vivida”. Anche noi. L’illusione di avere un azzurro re del mondo. Invece poi ci siamo svegliati. Paolo l’italiano vuole fare l’americano. Ma in fondo è giusto così.

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