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L'azzurro che non ci sarà. Paolo Banchero non ha tradito nessuno

Francesco Gottardi

Fine della telenovela: il cestista Nba, che ha sempre vissuto e giocato in America, ha scelto di rappresentare la Nazionale americana. Per l’Italbasket è un’ignobile presa in giro. È davvero così? No

Sarà perché è un nome così pulito. Ma in fondo, se ti chiami Paolo Banchero non puoi che giocare per la Nazionale italiana – anche se sei nato a Seattle, cresciuto negli Stati Uniti, parli solo inglese e giochi in Nba. Questa almeno era la cieca illusione a cui per anni si erano aggrappati i vertici del nostro basket. “Lo vogliamo ai Mondiali”, si diceva, e via coi proclami, pompaggi a mezzo stampa, culto del nuovo mito e gran sorrisoni. “Si è anche fatto una foto con la canotta azzurra”, gongolava lo scorso settembre Gianni Petrucci, presidente della Fip. Poi giorni fa The Athletic annuncia che l’ala degli Orlando Magic giocherà sì, i Mondiali del prossimo agosto. Ma con Team Usa. E così il tappeto rosso diventa rosso vergogna. Con Petrucci a benedire la gogna social: “Banchero ci ha traditi”.

Sembra l’immagine del paesello verista e immutabile, dove ogni azione dell’individuo è per forza “con noi o contro di noi”. Solo che l’infame Paolo, vent’anni per la cronaca, fino a questo mese non c’era nemmeno mai stato, al paesello. O in Italia. Né tantomeno il babbo da cui ha ereditato il contesissimo cognome. “Ci andremo presto”, annunciava in primavera la prima scelta al Draft 2022. E così i due Banchero, senior e junior, sono davvero volati in Liguria – da dove i bisnonni erano emigrati all’inizio del secolo scorso – per poi incontrare i suoi sponsor personali a Milano. Altre promesse invece – o semplici dichiarazioni, per chi avesse orecchie per intendere – il giocatore non le ha mantenute. È vero, Banchero sosteneva di “voler aiutare l’Italia a qualificarsi alle Olimpiadi”. Poi ribadiva di non vedere l’ora di “giocare con la Nazionale. Se non questa estate, la prossima”.

Ecco. La sua colpa, ammesso che sognare lo sia, termina qua. A meno che le aggravanti non siano il doppio passaporto e – ancora peggio, di questi tempi – la doppia bandierina stelle e strisce/tricolore sui propri profili social. Ma Banchero non ha mai firmato nulla al di fuori del suo contratto coi Magic. È stato corteggiato fino allo sfinimento, e a quale teenager non fanno piacere le lusinghe di un intero paese. Poi però è diventato professionista. E forse non se l’aspettava nemmeno lui, di chiudere la sua prima annata Nba con 20 punti, 6,9 rimbalzi e 3,7 assist di media, trascinando una franchigia materasso a una manciata di vittorie dal play-in e chiudendo la stagione col premio di Rookie of the year. Insomma, da probabile fuoriclasse del futuro.

Chi mastica basket, visto il basket che gioca Banchero, ha capito benissimo come sarebbe andata a finire. “Non mi stupisco della sua scelta”, dice alla Gazzetta Simone Fontecchio, pure reduce dalla sua prima, non facile, stagione oltreoceano. “Quest’anno non ha fatto chissà quali dichiarazioni d’amore verso la maglia azzurra. In passato, erano le parole di un ragazzino”.  Mentre il ct Pozzecco spiega che “il suo punto di vista, da giocatore futuribile di Duke a stella Nba, è cambiato esponenzialmente in pochissimo tempo: ecco perché avremmo rispettato ogni sua decisione”. Per poi aggiungere il sassolino che tanto ha offeso Petrucci. “Ci siamo rimasti male, però: Paolo ci avrebbe almeno potuto avvertire”. Le buone maniere, uagliò! ‘Sto scostumato americano.

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