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Calcio senza Dna

Mauro Berruto

"Ma quale DNA? Il calcio, l’antropologia e le trappole dell’identità" e "Agonistica in Magna Grecia. La scuola atletica di Crotone", due saggi per superare qualche pregiudizio sullo sport

Centottantasei pagine per smontare, dal punto di vista antropologico, un’immagine stereotipata del mondo del calcio: quella secondo la quale le squadre possiedono una sorta di patrimonio genetico che le definisce, immutabili, nella loro identità. Se ci viene naturale parlare di squadre “ladre”, “protette”, “fortunate”, “pazze”, “sventurate” (avete trovato la vostra squadra del cuore o la vostra acerrima avversaria?), un bravissimo antropologo, con un passato da calciatore, che si è ripetutamente occupato di pallone e di relativismo culturale con la stessa maestria, ha scritto un saggio che riflette sui tabù e sulle leggende del calcio, con competenza e un pizzico di ironia. Se leggerete Bruno Barba, Ma quale DNA? Il calcio, l’antropologia e le trappole dell’identità (Battaglia edizioni, 2023) incomincerete con un esercizio di decolonizzazione del linguaggio calcistico, utile ancor più di questi tempi, come antidoto a xenofobia e razzismo (esplicito, inconscio o velato che sia). Barba parla, e mette all’angolo, anzi mette ko, quell’“ossessione identitaria” così pericolosa nel calcio come nel resto della nostra società. Lo sport, infatti, è uno specchio della società o, come dice Barba citando Mauss, un “fatto sociale totale”. Ed è l’antropologia a fornirci gli strumenti in gradi di destrutturare la realtà e restituire all’ossessione identitaria la sua vera natura: non genetica, ma finzione; non dna, ma storytelling.

 

Nella partita “Natura vs Cultura”, Barba fa il commissario tecnico di una squadra eccellente di antropologi e pensatori capaci di stendere gli avversari, intrecciando continuamente tesi, che potrebbero sembrare accademiche, con la prova del campo. Del campo di calcio, appunto. Grazie a profonde e anche divertenti analisi che vanno dall’Alessandria (non quella d’Egitto, la squadra dei “grigi” piemontesi) al Brasile, dall’Argentina alla Juventus, dal Real Madrid al “granatismo” del Toro, Bruno Barba demolisce quella specie di inattaccabile mitologia che determinerebbe il “carattere” di una squadra e sollecita piuttosto la nostra attenzione sulle distorsioni e sui rischi, come la necessità dell’identificazione del nemico e del suo “odio”. Dopo uno splendido capitolo dedicato al ruolo dell’allenatore nei processi di costruzione dell’identità e che si intitola “Conservatori, ribelli, sognatori?” si plana verso le conclusioni, ma solo dopo una straordinaria “bibliografia ragionata”, un vero e proprio regalo di Barba ai suoi lettori innamorati dello sport che racconta il mondo. Consigli utilissimi per riempire la biblioteca di casa, insomma. Poi le conclusioni, dicevamo: “Nel descrivere i fatti sociali non possono esistere certezze (…) Credo che la strada sia leggere, leggere tanto, quel che più si può.” Ecco, leggete il libro di Bruno Barba e quelli che lui consiglia. Diminuiranno le nostre certezze, sfumerà l’ossessione identitaria e sarà una gran bella notizia. 

 

E poi, se permette, un consiglio: abbinate il saggio di Barba a quello di Angela Teja, Santino Mariano, Gianluca Punzo (a cura di), Agonistica in Magna Grecia. La scuola atletica di Crotone (ConSenso Publishing, 2022). Si tratta della riedizione aggiornata di un lavoro del 2004, un viaggio nella storia dello sport con il rigore della ricerca, con la magia e la curiosità dell’investigazione di un momento della storia che ha cambiato il mondo, con lo stupore e la meraviglia di scoprire come quel mondo (quello dell’antica Olimpia, della Magna Grecia, di Crotone, piccola polis capace di vincere tantissimo ai Giochi Olimpici) nacque proprio grazie alle contaminazioni, alla capacità di tenere insieme natura e cultura, di considerare corpo e mente importanti allo stesso modo. Così come insegnava Pitagora, matematico, filosofo e… allenatore, raccontato meravigliosamente da Angela Teja. La scuola pitagorica, la scienza, la filosofia e l’attività fisica resero eterna Kroton, ricordata ancora oggi, dopo millenni, per la sua storia sportiva e per i suoi olimpionici. 
Perché lo sport è un “fatto sociale totale”. Da 2.800 anni.

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