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Il Barcellona che trasloca al Montjuic ci ricorda quanta strada deve fare ancora la Serie A

Andrea Trapani

I blaugrana rinnovano il Camp Nou e per un anno giocheranno allo stadio “Lluís Companys”, sul colle che domina la città. Serve modernità per sopravvivere nel calcio. L'Italia sembra non averlo capito

La nemesi del Camp Nou esiste. Si trova a Barcellona, ma non è la (moderna) casa dei cugini dell’Espanyol. La supremazia cittadina non c’entra niente, non esiste manco la remota possibilità di scalzare i blaugrana dall’essere il simbolo dei catalani e della città. Esiste però un altro stadio, un altro mondo, forse la porta di chiusura tra due epoche.

  

Dal tedoforo del 1992 al Barcellona 2024

Il 1900 e il 2000 si salutano idealmente all’interno della storia raccontata dallo stadio “Lluís Companys”, anche se ben pochi lo conoscono con il nome che, dal 2001, ricorda la figura dell'ex presidente della Catalogna che fu ucciso nel vicino castello. L’impianto fu costruito nel 1927 per l'Esposizione Universale del 1929, ma è entrato per sempre nella memoria degli sportivi quando, nel 1989, è stato rinnovato per diventare lo stadio principale dei Giochi Olimpici del 1992.

Ora dovrà ospitare le gare casalinghe del Barcellona per tutta la stagione 2023/2024, quasi un compito impossibile per una struttura che, seppur ben mantenuta, ha una capienza di appena 54.000 spettatori (toccò quota 67.007 durante le Olimpiadi, ndr), ben pochi per il suo nuovo ruolo.

Chi arriva sul Montjuïc, infatti, pensa più di trovarsi in un’impianto di Italia 90 che nella modernità degli stadi della ricchissima Liga.Non sembra nemmeno di essere in quella città che brulica tra affari e turismo. Sul colle che domina i tetti di Barcellona si arriva solo per scelta: molti lo fanno per il panorama, altri per il castello e per il verde, alcuni per i ricordi di un’estate di 30 anni fa.

I motivi per visitare ancora oggi l’area olimpica del 1992 sono rimasti immutati: se si abbassa lo sguardo lungo il marciapiede che porta al vicino Museo Olimpico sembra di stare a Hollywood visto che possiamo troviamo le impronte di numerosi campioni dello sport. Lo stesso spazio museale è dedicato a Joan Antoni Samaranch, presidente del Cio tra il 1980 e il 2001, che fu uno dei massimi sostenitori dei Giochi Olimpici del 1992. C’è anche altro nel cosiddetto “anello olimpico”: accanto alla storica facciata dello stadio, ci sono gli altri edifici di quell’edizione nonché gli spettacolari trampolini dove si sono ammirati i tuffi “dentro” la città di Guadì.

   

Un ritorno al passato

Quassù lo stadio olimpico rappresenta quel che non è più il campionato spagnolo: c’è la pista d’atletica, ci sono gli spettatori esposti alle intemperie, le curve lontane dal terreno di gioco, si vive dentro un mondo che sembra lontano decenni dai miliardi della Liga. E che tornerà qui, almeno per la prossima stagione, visto che il Barcellona dovrà traslocare dal suo iconico stadio. Serve più modernità per sopravvivere in questo secolo, ma per paradosso del destino i tifosi blaugrana dovranno vivere un anno intero nella sua nemesi.

In realtà l’impianto olimpico, prima di diventare ritrovo domenicale delle famiglie, ha ospitato per anni i rivali dell’Espanyol, con più partite dimenticabili che altro, escluse due Coppe di Spagna ormai lontane nel tempo. La loro storia non conta i titoli dei rivali cittadini, negli ultimi decenni il divario si è accentuato, eppure si son fatte le stesse scelte pensando al futuro. Seppur in periferia, anche l’impianto di Cornellà-El Prat ha arricchito le loro casse.

  

Un miliardo e mezzo di euro per il nuovo Camp Nou

Il “nuovo Camp Nou” sarà finito nel 2025 se non ci saranno ritardi imprevisti. Anche se si tratta della ristrutturazione di uno stadio esistente, qui non ci sono stati problemi con il Pnrr come a Firenze: i soci del Barça hanno semplicemente approvato, nel dicembre 2021, il finanziamento dei lavori e la creazione di un nuovo spazio chiamato "Palau Blaugrana". Questo progetto, chiamato globalmente "Espai Barça", è un investimento di 1,5 miliardi di euro per costruire il Palau e per rinnovare lo stadio: i lavori ne aumenteranno la capacità fino a 111.000 spettatori (dagli attuali 99.354), ma si dovrà pazientare per goderne. Dopo un anno nell’eremo olimpico, il Barcellona dovrebbe tornare al Camp Nou già nell’autunno del 2024, seppur con una capacità ridotta del 50 per cento. Un grande sacrificio per un impianto che punta a diventare un riferimento per tutta l’impiantistica sportiva mondiale. Tutto il contrario di quel che accade in Serie A.

   

Quante differenze con l’Italia!

Il contrasto tra il ricordo del passato e la necessaria rincorsa alla modernità sembra una feroce critica al nostro paese. Forse è davvero così. Ancora oggi lo stadio del Montjuïc rappresenta il simbolo di un’Olimpiade che è stata un’occasione di sviluppo infrastrutturale e sociale; dal momento in cui Barcellona fu scelta come sede olimpica, nel 1986, la città iniziò a trasformarsi completamente. Cominciò un frenetico conto alla rovescia per creare impianti sportivi, tra cui un porto che fino a quel momento non esisteva, un villaggio olimpico che ha modernizzato un intero quartiere, e rafforzare tutta la rete dei trasporti con due nuovi terminal nell’aeroporto di El Prat e la creazione di assi viari come Glòries e le circonvallazioni Ronda Litoral e Ronda de Dalt. Insomma, quel che avrebbe voluto essere Italia ‘90.

Da noi è finita diversamente, gli impianti di quella Coppa del mondo sono diventati feticci e non ci permettono più di distinguere tra le funzioni di uno stadio monumentale e quelle dei progetti che ancora devono arrivare nel nostro campionato. Non abbiamo nemmeno una torre da ricordare: quella di Calatrava sul Montjuïc è diventata parte dello skyline urbano. Un segnale per vivere oltre la nostalgia.

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