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qatar 2022

Ma quali diritti, ai grandi brand interessa il mercato. Come sempre

Jack O'Malley

Nel delirio politicamente corretto c'è chi ha accusato l’Argentina di essere razzista perché non ha giocatori neri al Mondiale. "Siamo un paese, non un film Disney”, la risposta. È il giorno di Francia-Marocco e le redazioni terzomondiste-ma-non-è-il-terzo-mondo italiane tifano convintamente per la squadra africana

Leggo che la Fifa è stata accusata da diverse associazioni che vanno da Amnesty International a Humans Right Watch di non aver rispettato i propri impegni in materia di diritti umani dopo aver scelto di non creare un fondo di assistenza per i lavoratori migranti feriti o uccisi in Qatar. Ma in fondo chissenefrega, no? I giornali hanno dato più risalto alla mossa paracula di football washing messa in piedi dal tanto simpatico quanto capelluto Gianni Infantino: un’amichevole tra alcuni grandissimi campioni del calcio e i lavoratori in Qatar. Quelli che non sono morti nel frattempo, evidentemente. Leggo di “spettacolo in campo con Alessandro Del Piero, Marco Materazzi e tante stelle come Cafu, Terry, Seedorf, Roberto Carlos e molti altri”, arbitro (per dieci minuti, poi probabilmente doveva andare a mangiare) proprio Gianni Infantino. A posto così, no?

 

Oggi è il giorno di Francia-Marocco (al Foglio vanno a letto presto come Noodles, ho scritto questo articolo prima di Argentina-Croazia, se hanno vinto i cialtroni sudamericani forse sono in coma etilico, oppure morto, oppure fuggito, oppure non lo so, tanto di questo Mondiale non mi frega più un cazzo), e le redazioni terzomondiste-ma-non-è-il-terzo-mondo italiane tifano convintamente per la squadra africana anche solo per il gusto di spiegarci quanto sono bravi i tifosi marocchini che a La Spezia hanno pulito la piazza in cui avevano festeggiato il passaggio del turno, come dei giapponesi qualunque, e ricordarci la meritoria campagna pro Palestina che portano avanti e le belle preghiere ad Allah che dicono in campo – mica come quei retrogradi croati che si facevano celebrare la messa in albergo.

 

Ancora tre partite, di cui una inutile, e questo strazio sarà finito, anche se confesso che per un momento l’Argentina mi ha fatto quasi simpatia: è stato quando un paio di giorni fa il Washington Post, alla perenne ricerca della stronzata politicamente corretta più originale, ha di fatto accusato la Selección di essere razzista. Il solito delirio progressista americano è stato zittito alla perfezione dalla risposta, su Twitter, dell’account La Libertad Avanza: “Perché l’Argentina non ha giocatori neri al Mondiale?”, chiedeva la bibbia dei cazzoni woke. “Perché siamo un paese, non un film Disney”. Applausi. Dicevo dello strazio di questo Mondiale, mai pari a quello che provo quando mi separo dalla mia bionda, fosse anche solo per il tempo di riempire nuovamente la pinta: in Inghilterra ci si chiede se Southgate debba rimanere o no sulla panchina dei Tre Leoni, i giornali portoghesi assicurano che Cristiano Ronaldo vuole restare in Nazionale fino agli Europei del 2024. Che strazio, appunto.

 

C’è però una notizia: grazie al suo proverbiale giornalismo d’inchiesta, il Guardian ha finalmente scoperto che ai grandi brand in fondo non frega un cazzo dei diritti dei gay, e che anzi li sostengono o meno a seconda del paese in cui sono. Chi lo avrebbe mai detto. “Il loro silenzio è tanto più sorprendente dato che molti sponsor della Coppa del Mondo di solito sono fin troppo desiderosi di mostrare il loro sostegno ai diritti dei gay”, ha scritto il giornale che piace alla gente impegnata che si piace. Come è possibile che chi fino a ieri faceva spot e campagne arcobaleno oggi in Qatar non dice niente sui diritti degli omosessuali e fa pubblicità che paiono degli anni Sessanta? Si chiama mercato, e funziona così: tutti pride col culo degli altri, ma solo fino a quando e dove conviene. Non vorranno mica essere accusati di neocolonialismo dei diritti?

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