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Qatar 2022

Ai Mondiali le certezze latitano e tutto (o quasi) è ancora possibile

Enrico Veronese

Dopo le prime due partite dei gironi tanto è ancora da scrivere e tutto sembra poter essere ribaltato. È un complesso gioco dell’oca dove i dadi obbligano a tornare alla partenza

È il Mondiale della marmotta. Il secondo round nei gironi eliminatori smentisce in considerevole parte quanto era accaduto solo pochi giorni prima: chi aveva vinto, non di rado si ritrova sconfitto. E viceversa: tradite dal momentum, le nazionali entrate nella bocca di tutti disfano la tela di Penelope che con fatica o scaltrezza avevano costruito, in un complesso gioco dell’oca dove i dadi obbligano a tornare alla partenza. A soli novanta minuti dalle decisioni irrevocabili, bazinga! L’ Arabia Saudita rivelazione cede alla Polonia già scialba anziché continuare la propria onda, e il Giappone che aveva fatto l’impresa cede a Costa Rica, a sua volta reduce da un 7-0. Sono solo i casi più eclatanti: l’Inghilterra prima a forza 6 poi allo zero termico, l’Iran prevale non certo da favorito contro il fisico e grintoso Galles, la Tunisia che aveva imbrigliato la Danimarca si fa sorprendere dalla modesta Australia tutta corsa. Nel ribaltamento di sorte, l’Argentina data per morta risorge – pur giocando peggio che contro i sauditi – e il Ghana ferisce di 3-2 dopo essere perito di analogo punteggio (la Corea in due partite meritava ben di più). Come per ogni eccezione, c’è sempre una regola: l’Ecuador non era un fuoco di paglia, il Belgio già miracolato dall’arbitro contro il Canada mostra tutti i propri limiti strutturali, da invecchiamento e cambio di stagione ancora in corso. Se i Diavoli a fine ciclo sono seriamente indiziati di uscita precoce, gran parte del merito va al Marocco di Regragui, forse la più bella realtà di questo torneo: da anni si attendeva l’esplosione simultanea di tanti suoi talenti, in tutti i reparti, dotati di genio pari all’indolenza. Il boom è arrivato in Qatar, ovvero in condizioni “ambientali” favorevoli (il tifo sugli spalti ricordava il derby di Casablanca) e all’età opportuna per determinare: non solo Hakimi, Ziyech, Amrabat ma anche la ferrea coppia centrale Aguerd-Saïss che non ha fatto passare manco uno spiffero. E un gioco, vivaddio, sfrontato e allegro come una rivoluzione araba di dieci anni fa. Per controintuizione, merita di essere citato anche il 4-4-2 ignorante del palestrato Canada, pure interessante in prospettiva.

 

Se tutte le scuole calcistiche ormai sanno come mettersi in campo, chi salta più l’uomo? Son Heung-min ci prova, i maghrebini Ezzalzouli e Boufal ci vivono e per qualche minuto, negli infiniti recuperi, rievocano l’Ahmed Bahja di Usa '94. Pochi, tuttavia, cercano di guadagnarsi un calcio di rigore non appena entrano in area: sanno che il fiscalissimo fuorigioco “semiautomatico” (oddio) e l’ormai immancabile Var sono pronti a ritorcersi contro ad ogni singola azione, producendo più ingiustizie nei risultati rispetto all’andamento vero del match. È questo calcio condensato e poco fluido, quello che vogliamo? Volevamo il sole di novembre, e l’abbiamo visto solo per metà campo, ad al-Wakrah, durante Camerun-Serbia; volevamo la resa dei conti finale nella partita a scacchi tra Cristiano Ronaldo e Messi per il migliore nel decennio precedente, e per ora (dopo tanti patemi, non è ancora finita) il parziale sorride all’argentino, più uomo-squadra rispetto all’egomane di Madeira.

 

Negli stadi-container a forma di tenda beduina o di rete da pesca, intanto, si sviluppa il mondiale dei figli e dei fratelli: dopo il goal di Tim Weah e le sostituzioni tra gli Hernandez francesi, in campo contemporaneamente Eden e Thorgan Hazard, mentre chissà se Nico e Iñaki Williams si affronteranno in un eventuale, prossimo Spagna-Ghana. Thuram jr. potrà forse tornare utile alla Francia, non più il portiere qatariota Barsham, fratello dell’altista olimpionico Barshim in singolare parallelo con il croato Vlašić. Vezzi da telecronaca, si direbbe: Adani è decisamente un no, ma Stramaccioni a sorpresa è sì.

 

Altre rivelazioni? La divisa psichedelica della Corea, e chi è poco avvezzo all’Eredivisie o ai gironi di Champions League sarà caduto dalla Luna nel constatare il giovane ghanese Kudus, con grandi prospettive davanti. Mordono il freno invece, a un solo punto, Danimarca e Uruguay: i primi, reduci da un brillante terzo posto a Euro 2020, non hanno ancora sprigionato il proprio notevole potenziale. Ma ora la campana suona proprio per loro, chiamati obbligatoriamente a battere l’Australia per rilanciarsi. E nel tutto o niente, dentro o fuori, la Celeste in faccia al Ghana (bellissima la sua curva colorata) vive l’ennesimo ricorso leggendario: classicismo contro confusione, Giorgio Morandi o Jackson Pollock per un posto al sole. Luis Suárez c’è ancora, dodici anni dopo: anche dai suoi piedi passa il treno della storia, sarà chiaro solo venerdì se quel binario porta al passato oppure al futuro.

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