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gran calma #10

La Serie A ci dice che è meglio avere un centravanti che non averlo

Enrico Veronese

A sommare mezze punte non se ne fa mai una. E mentre il Napoli continua a guidare la classifica, il campionato si prepara a essere deciso anche dagli infortuni. Spezia-Cremonese è stata tra le partite più belle dell’anno

I risultati della 10a giornata di Serie A

Empoli-Monza 1-0 (11° Haas)
Torino-Juventus 0-1 (74° Vlahovic)
Atalanta-Sassuolo 2-1 (41° Kyriakopoulos, 45° Pasalic, 46° Lookman)

Inter-Salernitana 2-0 (14° Martinez, 58° Barella)
Lazio-Udinese 0-0
Spezia-Cremonese 2-2 (2° Dessers, 19° Nzola, 22° Holm, 52° Pickel)
Napoli-Bologna 3-2 (41° Zirkzee, 45° Juan Jesus, 49° Lozano, 51° Barrow, 69° Osimhen)
Verona-Milan 1-2 (9° Veloso (aut), 19° Gunter, 81° Tonali)

Sampdoria-Roma 0-1 (9° Pellegrini)
Lecce-Fiorentina 1-1 (43° Ceesay, 48° Kouame)

  

La classifica della Serie A dopo la 10a giornata

Napoli 26, Atalanta 24, Milan 23, Roma 22, Udinese 21, Lazio 21, Inter 18, Juve 16, Sassuolo 12, Torino 11, Empoli 11, Salernitana 10, Monza 10, Fiorentina 10, Spezia 9, Lecce 8, Bologna 7, Hellas Verona 5, Cremonese 4, Sampdoria 3.

  

Perché assistere a Spezia-Cremonese è meglio della Superlega tra presunte big intercambiabili

L’insofferenza dei media e dei millennial per le partitine buone solo per le scommesse, incomodi domenicali (quasi sempre alle ore 15) nella strada verso il big match, è quanto meno mal riposta. Per dirne una, Spezia-Cremonese è stata tra le partite più belle dell’anno: gioco a viso aperto da entrambe le parti, due punte fisse in area, 2-2 ma senza errori eclatanti delle difese, possibilità di vittoria inalterate fino a oltre il 90esimo. Il sale del calcio: meglio un incontro così, pur senza pedigree blasonato, o l’eterno andirivieni tra big intercambiabili (scegliete voi quali), asfittico, tattico e pure inopinatamente di una pochezza imbarazzante nei fondamentali? In Champions League, e nelle alte sfere della Serie A, non di rado si masticano schemi su punizione per poi trovarsi incartati, palle gettate per poco coraggio, calciatori bruciati dopo un errore come Asllani al Camp Nou, ripiegamenti difensivi azzardati in luogo di attaccare la profondità. O, non sia mai, saltare l’uomo. God save Spezia e Cremonese: da anni le provinciali – il Lecce ora, il Monza in progress, l’Empoli da subito – non avevano tale identità in Serie A, un campionato ormai del livello della Bundesliga (se non inferiore) ma egualmente piacevole più ci si avvicina al “piccolo è bello”. Superlega? Chi se ne frega. Tanto non ci sarà, gran calma, e quindi è meglio mettersi il cuore in pace e tornare al pallone.

 

Perché anche La Palice sapeva che è meglio avere un centravanti invece di non averlo

L’unico dubbio che avevano i tifosi granata prima dell’ultimo derby casalingo riguardava il minuto nel quale la Juve sarebbe passata in vantaggio, per conservarlo e poi vincere di corto muso. Troppo bruciante, come negli ultimi anni, prendere gol a ridosso del 90esimo e pure oltre: la rete di Vlahović al 74esimo ha lasciato qualche vana speranza alla curva Maratona (Jurić ha subìto cinque volte un goal negli ultimi 15 minuti di gara), ma del resto era tutto già scritto. Gran calma, perché anche se l’underdog gioca meglio, il gol nell’altra porta arriva: ci piacciono i falsi nove, le imbucate, i tagli dei terzini – ora anche Bocchetti lungo la strada di Gasperini, il quale a sua volta sa anche cambiare – ma alla fine quando la squadra con il centravanti incontra quella senza, è la prima che segna e vince. Specie se l’altra, per contingenze sanitarie, deve sommare tre mezze punte per non farne una: il Toro accerchia l’area, la Juve come al solito scollega i propri reparti in spazi troppo larghi, ma la Juve gioca “da Toro”, se il dna vuol dire ancora qualcosa. Così come è lapalissiano che formazioni rodate, immutate da tempo come Lazio e Udinese, impattano 0-0 col piglio delle (neo)grandi: in specie i friulani faticano a incassare gol, soprattutto se – vedi sopra – il centravanti avversario si fa male. Chi l’avrebbe mai detto che paga avere un bomber in rosa o promuovere la coesione di gioco tramite la conoscenza reciproca, assidua nel tempo? Eppure sono cose scontate, come il vizio di andare alla bandierina per chi sta vincendo nei minuti di recupero.

 

Perché, tra le variabili del campionato, gli infortuni possono decidere classifica e mondiali

Quanto varrà, a proposito, la Lazio senza Immobile? Qual è stato il peso dell’Inter priva di Lukaku e pure di Brozović? E quanti punti avrebbe portato al Milan poter disporre di Maignan? Senza dire della fresca importanza di Calabria, o il “lucro cessante” di Wijnaldum per la Roma. Questi interrogativi ogni settimana disegnano un quadro differente dell’avvenire per quanto riguarda gli equilibri del campionato: eravamo pronti a sostenere che il Sassuolo con Berardi e Traoré è tuttaunaltracosa, per dirla col pasticciere trotzkista di Nanni Moretti, ma un nuovo guaio muscolare ha di nuovo messo k.o. l’attaccante calabrese, giusto il tempo di far scuotere la traversa con un sinistro dei suoi. Il dramma, in una partita straripante di talento giovane. L’Atalanta, peraltro, è sempre più da prendere sul serio tanto più si nasconde a fari spenti: ma con il fischio iniziale di Qatar-Ecuador, tra un mese, comincerà un’altra stagione. Un altro Pallone d’Oro dopo Benzema, un altro calciomercato con gemme inedite in vetrina, un’altra serie di infortuni più o meno lunghi, più o meno decisivi. In Argentina già tremano, rischiando di non disporre di Dybala e dell’intermittente Di María per la caccia a un titolo che manca da 36 anni; la Francia, ancora favorita, dovrà reimbastire il proprio centrocampo prescindendo da Kanté. Certo, gli incidenti di gioco ci sono sempre stati: ma in apparenza mai come ora – nonostante le panchine lunghe – fanno la differenza, favorendo nel lungo periodo chi ne avrà subìti di meno. Oppure chi avrà investito, con gran calma e per tempo utile, nel proprio settore giovanile.

 

Perché Raspadori è il nuovo Paolo Rossi, ma anche un altro Mertens e non ancora se stesso

Nella domenica in cui stranamente non ha segnato, ma dopo un Napoli-Ajax folgorante, pure con l’emozione di rivedere una giacchetta nera addosso all’arbitro, è da notare come per pochi calciatori, negli ultimi anni, siano stati cercati così tanti paragoni come per Giacomo Raspadori (testualmente, meglio “Jim” che “Jack”, sarebbe il vezzeggiativo di John, Giovanni). Segno che il ragazzo non lascia indifferenti, fin dalle sue prime apparizioni in serie A -correva l’anno del lockdown, le partite a porte chiuse- quando sbancava l’Olimpico laziale con la maglia del Sassuolo. “Raspa” come Paolo Rossi, scontato per il fiuto del goal da brevilineo; come Mertens, del quale ha preso il posto a Napoli, e che può giocare sia in prima linea che partendo da dietro. Ma no, è il nuovo Tevez, dice qualche irriverente, ribattuto dai sostenitori della tesi Aguero: manca alla crestomazia qualcuno – non Spalletti – che lo vede meglio come attaccante esterno. Cosa ne sarà, nessuno ora lo può dire (gran calma): ma sta di fatto che le magnifiche sorti e progressive del ventiduenne bolognese paiono non avere confini. A tutto vantaggio di chi lo stipendia: oggi il Napoli, domani magari un top team europeo. E, si spera, della Nazionale di Mancini, che già gli ha aperto un credito preliminare regalandogli il titolo di campione d’Europa.

 

Perché il campionato spezzatino diluisce il pathos, genera ansia e forse produce meno ascolti

Non per passare da boomer (ci siamo abituati, ed è pure azzeccato) con la nostalgia di Tutto il Calcio la domenica alle ore 15, ma le partite a ogni ora per tre giorni consecutivi stanno un po’ segnando il passo dell’interesse pubblico. Al netto di coloro che seguono giusto la propria squadra del cuore, e di chi le guarda più o meno tutte per troppo tempo libero e dipendenza dal fantacalcio, squadernare l’intero calendario – sono otto o nove le partite che possono essere seguire senza concomitanze – a lungo andare diluisce il pathos, come il var sospende e interrompe l’amplesso con la rete. E, ci saranno studi in proposito, ingenera pure una certa ansia tra chi è in corsa per qualche obiettivo, lasciando solo alle ultime giornate la farsa dei fischi iniziali sincronizzati. Sì, gli spettatori sono stanchi, e la gran calma porta agli sbadigli con gli occhi impallati davanti a uno schermo: non sarà certo per colpa dei “pezzotti” o dei siti pirata se i dati di ascolto dei singoli match via Dazn o Sky passano sotto silenzio nell’analisi del giorno dopo. Sarebbe interessante conoscerli, anche solo come sintomo della passione di una comunità per il suo sport principe: con l’utopistico rischio che già ai prossimi mondiali – se, una tantum, l’Italia ci arriverà – il selezionatore farà fatica a trovare venticinque baldi giovani di prima o seconda generazione, e pure una dozzina di posti occupati nei divani del paese.

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