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martedì di coppa

Champions League. Le vittorie di Napoli e Inter sono un magnifico paradosso

Giovanni Battistuzzi

Gli azzurri battono 1-6 l'Ajax ad Amsterdam giocando all'olandese, i nerazzurri strappano un 1-0 all'italiana contro il Barcellona a San Siro. Piccoli sprazzi di ottimismo per il nosto calcio parecchio malandato. Stasera tocca a Juventus e Milan

Che martedì di coppa per le italiane questo martedì di coppa. E non solo per i risultati. Che due vittorie ci potevano pure stare, soprattutto perché Barcellona e Ajax sono più, quest'anno almeno, quelle che erano state nella storia più o meno recente, sebbene i blaugrana guidino la Liga e i Lancieri siano secondi in Eredivisie. È per come sono arrivate le vittorie di Inter e Napoli, talmente diverse, da unire in un paradosso calcistico ciò che eravamo e ciò che, continuamente e in modo parecchio estemporaneo, ambiamo a essere.

 

L'Inter che batte il Barcellona a San Siro per 1-0, giocando all'italiana, segna e difendi, che in fondo sono i tre punti che contano. Il Napoli che batte ad Amsterdam l'Ajax 1-6, all'olandese, seguendo il principio del pallone oranje, ossia più è meglio è, riempi tutto che l'abbondanza è una virtù, alla faccia della cultura protestante. Era dal 6 giugno del 1960 che i Lancieri non perdevano prendendo sei gol e con cinque di margine. Si giocava al De Meer Stadion, la rivoluzione calcistica di Rinus Michels non era nemmeno in embrione, Johan Cruijff aveva tredici anni, e la partita non contava nulla, era il ritorno, non competitivo, della finale spareggio che, la settimana prima, assegnò all'Ajax la decima Eredivisie.

 

Gioca bene il Napoli e da inizio stagione: sei vittorie e due pareggi in campionato, tre su tre in Champions League (le altre contro Liverpool e Rangers). Sembra più la squadra dell'anno scorso, elegante e gentile, troppo gentile, quasi molle quando era necessario tirare fuori la cattiveria. Gli addii di Dries Mertens, per brevità Ciro, e Lorenzo Insigne, sono stati quasi una liberazione. Ogni tanto serve recidere i cordoni ombelicali che hanno portato gioie e insuccessi per cambiare davvero. Meno tiraggiro e più profondità, più Luciano Spalletti e meno rococò napoletano, e con Khvicha Kvaratskhelia e Giacomo Raspadori e Piotr Zieliński libero finalmente di fare quello che sa fare meglio, ossia giocare libero con la sicurezza di avere alle spalle gente che picchia in campo e fa fiocchi con il pallone, Anguissa e Lobotka. Almeno finora, ché poi arriva sempre il momento Spalletti. La speranza è che continui così, perché, indipendentemente dalla fede calcistica, non è affatto male vedere giocare all'europea anche in Italia. Il Napoli lo sta facendo, il Milan pure, certamente entrambe intrise di ritmi italiani, ma non si può avere tutto. L'1-6 alla Johan Cruijff Arena è stato un messaggio anche per chi dice che in Italia si gioca male e che il calcio italiano è in crisi nera. Tutto vero per altro, ma ogni tanto una buona notizia, una piccola dose di ottimismo, fa meglio di rivoluzioni federali che non lo sono e che invece ci dovrebbero essere. E pure in fretta.

 

E mentre il Napoli si specchiava nel bello, abbracciava l'ideale, l'Inter ripensava a se stessa, abiurava se stessa, dimenticando tutto quello che di nuovo c'è in giro per l'Europa per ritrovare una fisionomia antica, dire catenacciara è eresia, perché il catenaccio era altra cosa e aveva le sue “regole”, sebbene non scritte e parecchio interpretabili. Serve mica giocare bene a volte. Serve vincere e a ogni costo. Perché in un girone di Champions così, con Bayern Monaco e Barcellona, serve far punti, meglio tre, in casa e sperare di portarne via qualcuno in trasferta e, magari, che la quarta, quella che dovrebbe chiudere a zero, rosicchi qualcosa alle altre. Ci si può affidare mica però alla speranza, tocca fare da sé, e va benissimo così: un gol, bel gol, dalla distanza, e poi a tirar carretta e mulo, a difendere quanto guadagnato. Il bel gioco non sempre conviene, soprattutto quando si sente puzza di fondamenta marcite e di crollo imminente. A volte è solo un po' d'acqua di ristagno però.

   

AP Photo/Antonio Calanni 
     

Il martedì di coppa, questo martedì di coppa, è un meraviglioso scherzo prospettico, che può far credere di tutto, pure che si possa eliminare quel vuoto di un lustro dall'ultima partecipazione di una squadra italiana dalla semifinale di Champions League. Mica semplice che accada, parecchio improbabile, ma si sa mai. Le vie della Champions sono infinite e ci sono stagioni che si arrotolano su loro stesse e finiscono ad assomigliare a un quadro di Escher, dove tutto è sballato e proprio per questo funziona.

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