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il foglio sportivo

Paris Saint-Germain-Manchester City, è davvero il meglio del calcio europeo?

Francesco Paolo Giordano

Dopo un'estate passata a spendere centinaia di milioni di euro per rafforzare, le due squadre si affrontano in Champions League 

Non è trascorso molto tempo da quando Paris Saint-Germain e Manchester City venivano bollate come semplici parvenu senza possibilità di successo. Oggi, mentre il calcio continentale traballa sotto il peso di massicci indebitamenti e ricavi che scarseggiano, sono le società che hanno scalzato la vecchia nobiltà europea a suon di petrodollari: l’una, il Psg, costruisce un Dream Team che vale 572 milioni annui in buste paga, permettendosi pure di spernacchiare l’offerta da 180 milioni del Real Madrid per Kylian Mbappé (in scadenza di contratto!); l’altra, il Manchester City, non ha problemi nello staccare un assegno da quasi 120 milioni per Jack Grealish, aggiungendo un altro ninnolo alla già scintillante e costosa stanza dei balocchi personale.

Psg e Manchester City si affrontano in Champions League, in un remake della semifinale di pochi mesi fa che vide trionfare la truppa di Guardiola: non è più uno scontro tra due progetti sportivi in cerca di fortuna, ma è inequivocabilmente il meglio che il calcio europeo possa offrire al momento – Messi, Neymar, Mbappé, Donnarumma da una parte, De Bruyne, Grealish, Sterling, Gabriel Jesus dall’altra. Non hanno problemi di liquidità, al contrario della stragrande maggioranza delle squadre europee, perché non sono semplici società sportive: sono strumenti nelle mani di due ricchissimi staterelli arabi, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti, e rappresentano investimenti come altri nel gargantuesco portafoglio dei rispettivi fondi – banche, automotive, settore immobiliare e poi eccolo, il calcio.

 

Solo che – il calcio – non è certo lì per incamerare profitti. “Quello che entrambi gli Stati hanno fatto è costruire una visibilità, una reputazione, stabilire legami nel mondo con diversi Paesi tramite il calcio”, dice Simon Chadwick, professore alla Emlyon Business School. “Connesso a tutto questo c’è l’effetto soft power, che porta a guardare a queste realtà in modo positivo, a essere attratti da quello che cercano di fare. E questo ha un impatto anche sugli aspetti di diplomazia”. Leo Messi non era importante per il progetto sportivo di Psg e di Pochettino, ma per quello del Qatar e della famiglia Al Thani, esattamente quanto lo è l’organizzazione dei Mondiali del prossimo anno: una volta si definiva propaganda, oggi ha il termine anglofono sportswashing, ossia l’idea di fare dello sport un meccanismo per ripulire la propria immagine internazionale.

Tutto questo, ovviamente, altera gli equilibri economici del calcio europeo, con buona pace del fair play finanziario, inerme o quasi di fronte allo shopping sfrenato delle due squadre. Mansour, proprietario del City dal 2008, ha speso oltre due miliardi di euro in cartellini nella sua avventura inglese, e ha poi costruito un impero calcistico, il City Football Group, che assomma varie società tra Europa, Stati Uniti, Australia, Cina e Giappone. Il Qatar Sports Investments, presieduto da Nasser Al-Khelaifi che è anche numero uno del Psg, dal 2011 ha riportato la squadra parigina ai vertici di Francia al grido di “Rêvons plus grand” (sogniamo in grande). Entrambe queste proprietà hanno stravolto la vita tranquilla di queste due squadre, facendone delle superpotenze lussureggianti; negli ultimi due anni hanno raggiunto la prima finale di Champions a testa, oltre ad aver conquistato in ambito nazionale decine e decine di trofei (27 i francesi, 16 gli inglesi); hanno fatto crescere i rispettivi club di oltre il 500 per cento il loro valore originario, con fatturati che oggi superano i 500 milioni di euro annui.

 

Non è difficile intuire perché il Psg abbia declinato la proposta della Superlega: i proprietari qatarioti non hanno certo bisogno di aumentare i ricavi per il proprio club, ma hanno tutto l’interesse a operare all’interno del perimetro istituzionale per non compromettere il lavoro di tessitura diplomatica – una lealtà all’Uefa che è valsa ad Al-Khelaifi la nomina a presidente dell’Eca, l’associazione europea dei club. Il Manchester City, che aveva inizialmente appoggiato la proposta, è stato tra i primissimi a tirarsene fuori, nel momento in cui avevano cominciato a riecheggiare le minacce di Boris Johnson. Le mani sulla Champions, le mani sul mondo.