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Il Foglio sportivo

La caduta del Barça vista da dentro

Gregorio Sorgi

Declino e crollo di un impero sportivo nel libro di Simon Kuper. Intervista al giornalista del FT

Simon Kuper, firma di punta del Financial Times e studioso del calcio, ha trascorso gli ultimi due anni nelle viscere del mondo Barça, per cui ha avuto un’ossessione fin da quando era ventenne e si recava al Camp Nou per elemosinare interviste con il suo idolo Johan Cruyff. Kuper ha parlato con tutti, dal presidente ai preparatori, agli allenatori della cantera, con l’idea di raccontare l’ascesa della più grande squadra di tutti i tempi. Ma nel suo ultimo libro, The Barcelona Complex, c’è molto altro: il declino, e probabilmente la caduta, di un’istituzione sportiva portata in rovina dai suoi stessi dirigenti. “È stato un po’ come scrivere un libro sulla Roma del 400, con i barbari dentro le mura”, scrive Kuper. Stavolta chi sono i barbari? “Roma è caduta a causa dei suoi stessi errori, e i barbari hanno approfittato di questo impero indebolito che non si poteva più difendere”, spiega il giornalista al Foglio Sportivo. “Il Barça ha fatto molti errori e in questo caso i barbari sono il Paris Saint-Germain e gli altri che saccheggeranno e ruberanno le ricchezze del club catalano”. A partire da Messi, il tesoro di famiglia venduto per ripianare i debiti. Il giocatore argentino è nella lista dei colpevoli? “Leo no, suo padre Jorge ha grandi responsabilità”.

 

“È normale – continua Simon Kuper – che il giocatore più forte abbia grande potere, ed è altrettanto normale che la dirigenza cerchi di accontentarlo a ogni costo. Al contrario, Jorge Messi ha contribuito a distruggere il Barça: bussava continuamente alla porta della dirigenza chiedendo aumenti di stipendio per il figlio, che alla lunga hanno portato in rovina il club. L’ex operaio di Rosario ragionava nel breve termine e aveva una mentalità da avvoltoio capitalista, non da azionista”. Secondo Kuper, Messi non è né un mercenario né un ipocrita. Voleva restare nel club dov’era cresciuto e quelle lacrime d’addio davanti alle telecamere erano genuine. Semmai l’argentino voleva andarsene nell’estate 2020, quella dell’umiliante sconfitta per 8-2 in casa contro il Bayern Monaco, ma i suoi familiari si sono messi a piangere quando hanno avuto la notizia. I figli si sono detti contrari e hanno convinto loro padre a terminare la carriera in blaugrana. Solo il 5 agosto 2021 il presidente Laporta ha detto all’entourage del giocatore che non gli avrebbe potuto offrire il rinnovo di contratto perché non c’erano soldi. “Questo è stato un grande shock per Messi – dice Kuper – Suo padre non lo ha costretto ad andare via, ma ha creato le condizioni per cui il club non è stato più in grado di pagarlo”. Il capitano aveva proposto di tagliarsi lo stipendio del 50 per cento, ma questo non sarebbe bastato a sistemare le finanze malandate dei catalani. Se anche Messi avesse chiesto di giocare gratis, il club avrebbe comunque fatto fatica a iscrivere nuovi giocatori. “Senza contare che il calcio funziona in modo diverso. L’ingaggio riflette le qualità. Se paghi poco un giocatore significa che ti aspetti poca qualità da lui in campo. E uno come Messi non deve giocare con giocatori di bassa qualità”.

I problemi del Barça vanno ben oltre l’addio dell’argentino, e parlando con Kuper non si sentono molte ragioni per essere ottimisti. L’autore descrive questa fase del club catalano usando un’espressione dell’economista Joseph Schumpeter, “la distruzione creativa”. Le squadre europee non hanno solamente copiato il gioco del Barça; lo hanno aggiornato, migliorato e reso obsoleto. Il tiki-taka ormai è il passato; il presente e il futuro sono l’Italia di Mancini, il Manchester City di Guardiola, il Bayern di Nagelsmann che, secondo Kuper, non sono altro che un’evoluzione del modello che Cruyff aveva esportato in Catalogna. Perfino le accademie inglesi puntano, per la prima volta, sui giocatori tecnici e brevilinei e sfornano dozzine di canterani in stile Barça: Sancho, Sterling, Foden, Saka, Grealish. “Il calcio si innova continuamente ma non vedo perché il Barça dovrebbe innovare meglio degli altri. Qual è il loro vantaggio comparato? E’ più probabile che il calcio del futuro nasca in Germania o in Olanda, anziché in Catalogna. Anche l’accademia giovanile del Barça, la Masia, è stata copiata in tutto il mondo e ha perso la sua particolarità. Per quanto il Barça sia costretto a investire sui giovani, innanzitutto per ragioni di bilancio, non credo sia possibile ricreare la generazione d’oro di dieci anni fa, che ha prodotto il miglior giocatore della sua epoca e sette campioni del mondo con la Spagna. Questo non era mai capitato prima nella storia del calcio, e non penso succederà di nuovo”.

 

Il declino del Barça è scandito da scelte avventate, acquisti sbagliati e una diffusa incompetenza calcistica. Un esempio. Nell’estate del 2017, quando doveva sostituire Neymar trasferitosi al Psg, la dirigenza rifiutò Kylian Mbappé e Erling Haaland, che nel frattempo sarebbero diventati i più forti al mondo, preferendogli il disastroso Ousmane Dembélé. Parte della responsabilità va attribuita al presidente Josep Maria Bartomeu, un rampollo della borghesia catalana che ha ereditato un’azienda che produce i finger degli aeroporti; lui è uno dei “mercanti locali”, spesso degli analfabeti calcistici, che si succedono alla presidenza di un “club di quartiere” e che “intendono vivere in città fino alla loro morte, curandosi soprattutto della loro reputazione lì”. La lista degli acquisti sbagliati dal Barcellona sotto la sua presidenza, che hanno mano mano allargato il buco di bilancio, meriterebbe un capitolo a sé.

Non è un caso che il Barça sia la squadra con il più alto debito al mondo, oltre un miliardo di euro. Riusciranno a riprendersi? “Non penso che andranno in bancarotta e saranno costretti a retrocedere, come è successo alla Fiorentina vent’anni fa. All’epoca non c’erano queste regole di bilancio che hanno proibito al Barcellona di continuare a spendere e ad accumulare debiti. Il Barça sta entrando in un periodo di austerity calcistica simile a ciò che l’economia spagnola e italiana hanno subito dieci anni fa in cui non potrà comprare i migliori e magari sarà costretta a vendere i gioielli di famiglia. Per dirla come Warren Buffet, ‘quando scende l’acqua vedi chi nuota nudo’. Durante la pandemia è scesa l’acqua: i club hanno perso tanti soldi perché non c’era più il pubblico e le squadre che già spendevano troppo sono entrate in crisi. Il club inglesi, come il Chelsea o il Manchester City, hanno speso tanto quest’estate perché hanno degli asset di valore: uno stadio di proprietà e tanti giocatori di qualità. Lo stadio del Barça, invece, risale al 1957. E non ha più tanti grandi giocatori: gli unici ad avere mercato sono Pedri e Frenkie De Jong”. Questo spiega perché il club era così fortemente a favore della Super Lega; il nuovo torneo era l’ultima speranza per sopravvivere al vertice. “Certo, JP Morgan ha promesso 300 milioni di euro a ogni club al momento della firma. Il Barça ha pensato: con quei soldi tappiamo i buchi, teniamo Messi e sopravviviamo un altro giorno. E se sei il presidente del Barça, eletto dai soci ogni sei anni, pensi soprattutto alla tua sopravvivenza nel breve termine. Molti altri club che si trovavano in una situazione finanziaria migliore sono rimasti più defilati. Ma per il Barça questo progetto era molto importante, perché erano disperati”.

Kuper non è un fan della Super Lega; per lui questo trofeo esiste già e si chiama Champions League. Ma la debacle del nuovo torneo riporterà il calcio più vicino alla gente e alle comunità locali? Quest’idea va di gran moda tra i conservatori di Boris Johnson. “La maggior parte dei club perdono soldi, ma è qualcosa che è sempre successo. Molte squadre sono fallite negli anni Duemila ma nel giro di pochi anni sono rinate e continueranno a esistere. È difficile trovare un’attività più sostenibile del calcio, uno sport che esiste su molti livelli. In Italia la Juventus solitamente vince; la maggior parte degli altri club non ambiscono allo scudetto e i tifosi lo sanno. Nonostante questo, la gente continua ad andare allo stadio per vedere altre persone, per fare parte della comunità. In molti si preoccupano della sostenibilità del calcio, ma mi chiedo quale sia il problema. I club non esistono per fare soldi ma per servire i tifosi e ci riescono molto bene. Quale altra attività identitaria può vantare lo stesso successo?”.
 

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