Vincenzo Nibali affronta la discesa del Passo dello Stelvio (foto LaPresse)

La dignità di Nibali nel Giro d'Italia di Tao Geoghegan Hart

Gino Cervi

Tra record salvi, tecnica mineraria e granatieri prenditutto si è conclusa la corsa rosa. Cosa rimarrà di questa edizione? Qualche promessa per il futuro e le ultime sei parole del "Dizionario del Giro d'Italia"

Un Giro d’Italia si scompone in tappe e, per tradizione, sono 21. Noi si è provato a scomporlo in parole, 21, come le lettere dell’alfabeto italiano. Ne è uscito questo “Dizionario del Giro d’Italia”, scritto da Gino Cervi. Ecco le ultime sei voci di queste tre settimane di corsa rosa. Le altre le potete trovare qui: prima puntata - seconda puntata - terza puntata.

 


 

Démare. Nella tecnica mineraria, si chiama volata lo scoppio contemporaneo, o a piccoli intervalli di tempo prestabiliti, di un certo numero di mine praticate nel fronte d’avanzata di una miniera. La volata di Arnaud Démare, nell’avanzata della sua “miniera rosa” al Giro 2020, ha avuto quattro scoppi, tre ravvicinati – in quattro giorni: Villafranca Tirrena, Matera e Brindisi – e uno finale, più distanziato, a Rimini. A proposito di esplosioni Arnaud Démare, al Giro d’Italia 2020, è stato come Gaston de la Foix, comandante in capo dell’armata francese di Luigi XII nella campagna d’Italia contro gli alleati della Lega di Cambrai: tra il 1509 e il 1512 sbaragliò il campo degli eserciti avversari muovendosi con una rapidità che gli valse il soprannome di La foudre d’Italie. Démare è stato il “fulmine del Giro d’Italia”. 

  

HGH. HGH avrebbe potuto essere il titolo acronimo dell’ultimo capitolo del romanzo giallo-rosa del Giro d’Italia 2020: la prova contro il tempo, da Cernusco sul Naviglio-Milano, di 15,7 km. HGH non è una formula chimica, la sigla di una multinazionale del luxury, ma, nel rigoroso ordine di classifica prima della partenza, sta per Hindley-Geoghegan Hart, i nomi dei duellanti separati in classifica da meno di un secondo. Mai prima di ieri, la soluzione del caso, lo svelamento del “colpevole”, si era presentata così incerta. E mai, prima di questa edizione, la 103ma, il vincitore finale non aveva indossato durante la corsa la maglia rosa, ma solo, con un colpo di mano conclusivo, solo sul podio della premiazione finale. Tao Geoghegan-Hart ha distanziato di 40 secondi il rivale eha vinto il Giro. Era nelle previsioni tecniche – il britannico a cronometro va molto più forte dell’australiano – ma fino all’ultima curva che da via San Paolo immetteva nell’ultimo tratto di corso Vittorio Emanuele prima di entrare in piazza del Duomo, non si è potuto scrivere la parola fine alla corsa. Una vittoria al “cronofinish”. Il futuro ci dirà se questi due campioni in erba, che hanno acceso la parte finale di questo Giro – e bisogna aggiungere un altro sorprendente esordiente, il portoghese Joao Almeida, quindici giorni in testa alla classifica generale – , sapranno mantenere le promesse e potranno confrontarsi alla pari con i coetanei che hanno mostrato la loro bravura al Tour.

 

Ineos. Con la vittoria di Filippo Ganna nella cronometro finale di ieri, la squadra britannica della Ineos Granadier – che nell’ultimo decennio, con il nome di Team Sky ha dominato il panorama internazionale delle corse ciclistiche – ha ottenuto il suo settimo successo di tappa: 7 su 21, praticamente un terzo delle vittorie a disposizione sono andate ai “Granatieri”. E sì che, all’inizio della terza tappa, la Enna-Etna, una brutta caduta provocata da un banale incidente – una borraccia rotolata tra le ruote durante il trasferimento del gruppo dalla partenza al km 0 – aveva messo fuori causa il capitano della “corazzata”, Geraint Thomas. Dopo il ritiro il campione gallese, al servizio del quale la squadra avrebbe dovuto correre – secondo i rigidi dettami di squadra del team britannico che da anni viene applicato nelle grandi corse a tappe e che è stato alla base dei successi al Tour di Wiggins prima, e poi di Froome, dello stesso Thomas, e più recentemente di Bernal – la squadra ha dovuto ridisegnare una nuova strategia di corsa, dapprima puntando alle vittorie parziali – dopo la cronometro iniziale di Palermo, Ganna ha sorpreso tutti nella tappa silana di Camigliatello e poi si è aggiudicato con strabiliante supremazia la seconda crono di Valdobbiadene; mentre l’ecuadoriano Narvaez ha battuto tutti sui “Nove colli” di Cesenatico – salvo quindi scoprire nell’arrivo a Piancavallo di avere nel mazzo una carta vincente: quella di Tao Geoghegan Hart. L’ultima settimana di corsa la squadra si è messa al servizio del “nuovo capitano” e lo ha pilotato al successo finale. Strepitoso è stato il contributo dell’australiano Rohan Dennis nelle due tappe di montagna, ai Laghi di Cancano e poi al Sestriere: per il giovane britannico pretendente alla vittoria finale, è stato come poter contare su una motocicletta a cui mettersi in scia. A differenza di molte altre squadre del World Tour, la Ineos ha dimostrato una caratura di preparazione e di organizzazione tattica incomparabilmente più efficace. In quest’occasione, forse anche grazie al bel lavoro del direttore sportivo Matteo Tosatto, l’affiatamento che, a vedere le lacrime di gioia di Filippo Ganna – già grande protagonista individuale di questo Giro – all’arrivo vittorioso in piazza del Duomo del compagno Tao, è diventato stretta e invincibile fratellanza.

 

Nibali. Vincenzo Nibali, 36 anni il mese prossimo, era alla sua nona partecipazione a un Giro d’Italia. Per uno che lo ha vinto due volte (2013 e 2016) e che è arrivato per quattro sul podio (secondo nel 2011 e nel 2019, terzo nel 2010 e nel 2017), arrivare settimo è, senza dubbio, una delusione. Ma il tempo passa è la pinna dello Squalo non fende più le acque della corsa come prima. Sta nella natura delle cose. Resta la tenacia e la dignità di non mollare anche quando si capisce di non poter essere in lizza per le posizioni di vertice: e in questo Vincenzo è stato anche questa volta un esempio. Forse, in virtù della sua navigata esperienza e della consapevolezza del suo ruolo, ci si sarebbe aspettato che ritrovasse un po’ di leadership nella questione della confusa vertenza sindacale della tappa di Morbegno, in un senso o nell’altro. Ma anche quella mattina di pioggia, la pinna dello Squalo si è confusa nel gruppo.  

 

Record. Qui si scrive non di record infranti ma di record imbattuti. Due erano i limiti che questo Giro avrebbe potuto far cadere: prima della partenza, molti tifavano affinché Nibali diventasse, con un successo finale, il più anziano corridore a vincere un Giro d’Italia. La corsa ha fatto in modo che solo pochi irriducibili speranzosi non capissero che quel limite, almeno quest’anno, sarebbe rimasto imbattuto. L’altro record è invece rimasto in bilico fino all’ultimo: quello del minor scarto di tempo tra il primo e il secondo in classifica. Ieri, alla fine, Geoghegan Hart ha distanziato di 39’ secondi in classifica Jai Hindley. Molti di più degli 11’ secondi con cui nel 1948, il vincitore distaccò il secondo classificato. Entrambi i record, quello di “anzianità” e quello del minor distacco, restano saldamente nelle mani di Fiorenzo Magni, vincitore nel 1955 a 34 anni e 180 giorni, oltre che vincitore “di misura”, ai danni di Ezio Cecchi, del Giro del 1948. Il prossimo 7 dicembre 2020 ricorrerà il centenario della nascita del grande Fiorenzo: e trovo giusto che questi due record, almeno ancora per un po’, rimangano nel suo palmarès.