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Giro d'Italia 2020, Filippo Ganna e la conquista delle frattaglie

Dato che per Merckx andare forte negli appennini del sud Italia ci vogliono "budella", oggi il Giro ha attraversato le zone del "morzeddhu"

Giovanni Battistuzzi

Il corridore della Ineos ha prima centrato la fuga giusta, poi ha staccato tutti sull'ultima salita prima di Camigliatello silano, il Valico di Montescuro, mai come oggi nomen omen

Nel 1967 alla sua prima partecipazione al Giro d’Italia, Eddy Merckx capì una cosa che gli servì negli anni successivi: “Il Giro lo si vince di gambe, è ovvio, ma al sud non lo perdi di budella”. Questione di strade, di caldo, di imboscate, ché le strade dell’Appennino magari non hanno l’altitudine e la durezza di quelle alpine, ma a volte “le digerisci molto peggio”. Nel 1972 José Manuel Fuente staccò di due minuti e mezzo il Cannibale sul Blockhaus. Pochi giorni dopo Merckx, tra Cosenza e Catanzaro, ricacciò indietro le speranze dello spagnolo. Quattro minuti abbondanti e la dimostrazione che ciò che aveva imparato era vero: “Al sud per andar forte servono budella”.

 

Nel catanzarese le budella non le usano invece per il ciclismo, preferiscono utilizzarle in padella. Trippa da aggiungere a fegato, polmone e milza con sugo di pomodoro, peperoncino e un po’ di alloro. Da mangiare a cucchiaiate o a farcire il pane. “U morzeddhu” è piatto tipico di Catanzaro e dintorni, esistono però versione silane che alle interiora unisce patate e altre verdure. Ma non ditelo ai catanzaresi che inorridirebbero.

 

Per apprezzare “u morzeddhu” ci vuole tempo, lasciare che il gusto si sparga in tutta la bocca, che il piccante si trasformi da pizzicore in gusto, accettare l’invasione. Le frattaglie sono conquista e occupazione. Le stesse che ha messo in pratica Filippo Ganna oggi verso Camigliatello silano, quinta tappa del Giro d’Italia 2020. Ganna è uscito dal micromondo delle cronometro per conquistare il macromondo delle salite. Salendo verso il Valico di Montescuro, che oggi si è dimostrato nomen omen avvolto com’era da una coltre di nubi, umidità e ombre nere, Ganna ha messo in pratica anni di consigli: vai agile; vai agile; vai agile; non reagire subito agli scatti; soprattutto non strafare. Ai primi ha dato retta. All’ultimo no, ché le indicazioni di massima hanno la loro utilità spesso, ma ogni tanto tocca prediligere la faccia tosta al buon senso.

  

Filippo Ganna ha apparecchiato il suo momento giusto per una ventina di chilometri d’ascesa, per oltre centocinquanta chilometri di fuga. Prima alternandosi al vento com’è normale fare, poi salendo di ritmo, rientrando con calma e convinzione agli allunghi di Héctor Carrettero prima e a quelli di Thomas De Gendt e Einer Rubio (che dal gruppo erano fuggiti per cercare di fare il colpo) poi. Ha dato la botta giusta nel momento giusto, quello nel quale De Gendt stava guardando Rubio infastidito per il dispetto di uno scatto dopo oltre una decina di chilometri di scia. Ganna li ha lasciati lì, non si è voltato, ha tirato dritto. Era da Mileto, partenza della tappa, che si immaginava l’effetto che poteva fare.

 

Di Ganna si potrebbe scrivere che “era dotato di grande forza fisica e di gran coraggio nei combattimenti. E in virtù di questi pregi, si guadagnò in breve il favore di tutti”. Peccato che non siano parole riferite a Filippo ma a Ruggero I detto il Gran Conte, il conte normanno che, facendo tappa a Mileto (città d’avvio della frazione odiernaa) unì la Calabria con la Sicilia. Quello che ha fatto Ganna in questo Giro d’Italia. 

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