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il foglio sportivo – that win the best

L'orrenda bellezza dell'Europa League

Jack O'Malley

Come non amare la versione cheap della Champions? L’isteria attorno all’Inter e Mou che non è Mou

Passano gli anni, ma poche cose riescono a regalarmi la goduria grottesca delle partite di Europa League. Povera e bella, la coppa sfigata dell’Uefa è più simile alle atmosfere epiche del calcetto tra colleghi il giovedì sera che all’aria rarefatta e artificiale delle vette della Champions League. Via di mezzo tra girone infernale e cornice del Purgatorio, l’Europa League ai sedicesimi regala ancora trasferte in paesi improbabili contro squadre che giocano in stadi da provincia laziale. I giocatori protagonisti si dibattono tra l’anonimato e le segnalazioni dei nerd del pallone, le maglie hanno colori meno sgargianti, le pettinature sono già fuori moda, le pubblicità meno cool. Versione torneo di quartiere della sorella Champions, l’Europa League è abitata da squadre che non lasceranno un segno nella storia del calcio e da tristissime ex grandi decadute che annaspano nel ricordo di una gloria che ormai non c’è più. A questo mix di mestizia si aggiungano le fuoriuscite dalla Champions, le terze dei gironi, quelli che pensavano di uscire con la bionda della loro vita che però a metà serata li ha mollati con l’amica brutta arrapata.

 

Sarà per quell’aria vintage che nonostante tutto si porta addosso, sarà che l’hanno messa di giovedì sera perché tutti gli altri giorni erano occupati, ma io non riesco a smettere di guardarla. E non perché – come cerca di farci credere l’account Twitter dell’Uefa – è un torneo ricco di colpi di classe, giocate da campioni e gol spettacolari. Ma proprio perché non è niente di tutto ciò. È una coppa che se non la vinci i tuoi tifosi non ti diranno mai niente, nessuno si lamenterà o farà processi mediatici a giocatori e tecnico. Se la vinci bene, ma l’effetto è quello di 20 euro guadagnati scommettendo a caso su un over tra due squadre rumene. È una colpa che fa fine e non impegna, occupa spazio in bacheca ma può tornare utile come vaso in ufficio, persino gli effetti di fumo e nastrini colorati durante la premiazione finale ricordano le feste di carnevale dei bambini con l’animazione del pagliaccio panzone. È un grande palcoscenico di riscatto sociale, poi, con il vantaggio di essere quasi sempre un’operazione win-win: chi gioca bene in EL e arriva da un periodo appannato ottiene qualche giorno di tregua ed elogi sui media (vero Inter?), chi perde tanto-aveva-altri-obiettivi e chissenefrega.

 

A proposito di Inter, noto che se c’è qualcuno più isterico di Conte durante le partite, sono i giornalisti e tifosi italiani: dopo la vittoria nel derby erano praticamente campioni d’Italia, la sconfitta con la Lazio ha aperto voragini di pessimismo con risvolti surreali tipo rimpiangere Gasperini o fare battute originalissime sui nerazzurri che vincono a San Siro ma sono l’Atalanta. Più prevedibili di un meme su Morgan e Bugo (il cantante alternativo diventato improvvisamente più salottiero di un deputato di Italia viva), i detrattori di Eriksen sono scomparsi alla stessa velocità con cui sono spariti in autunno quelli che ci spiegavano che Cristiano Ronaldo ormai aveva dato tutto, appena prima di segnare per dieci gare di fila. Per fortuna c’è la Gazzetta che ci spiega il calcio con parole di vita eterna: dopo la sconfitta del Tottenham in Champions, ecco spuntare dall’archivio l’articolo che è come il vestito che le donne sanno sempre quando mettere, quello su Mourinho che non è più Mou dal Triplete. Peccato che da allora lo Special One abbia vinto otto trofei. Preferivo gli articoli che spiegano come Ibra sia fondamentale per il Milan dentro e fuori dal campo o quelli che fingono di stupirsi per ciò che piace fare a letto a Wanda Nara. D’altra parte la palla è rotonda, i rigori sono una lotteria, io sono astemio e Giardiola resterà al City l’anno prossimo.

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