foto LaPresse

Prove di Olimpiadi sostenibili, per sfatare la maledizione del dissesto

Massimiliano Trovato

In una città e due regioni sempre più aliene al resto del paese

Se il salto sul carro del vincitore fosse disciplina olimpica, in Italia pioverebbero medaglie a grappoli. Appena si è diffusa la notizia che la candidatura di Milano-Cortina aveva sbaragliato quella di Stoccolma e che il Lombardo-Veneto si era aggiudicata l’organizzazione dei Giochi invernali del 2026, è partita la corsa a riposizionarsi sull’asse a cinque cerchi.

 

Virginia Raggi e Chiara Appendino, che dal carro avevano fatto di tutto per scendere, hanno affidato a due tweet ciclostilati le congratulazioni per i colleghi mai pentiti. Matteo Salvini, avvoltolato nel tricolore, pugno al cielo come Tommie Smith e John Carlos a Città del Messico 1968, ha rivendicato i “5 miliardi di euro di valore aggiunto” – ad aprile ne prospettava uno, ma melius abundare. E se, a chi gli rinfaccia la sua passata ostilità alle iniziative olimpiche subpadane, il ministro dell’Interno può almeno opporre una certa gradualità nella conversione, nonché l’impegno costante dei leghisti Zaia, Fontana e Giorgetti, del tutto inspiegabile appare la giravolta del suo omologo grillino Luigi Di Maio, passato senza soluzione di continuità da “chi vuole le olimpiadi se le paghi da solo” a “oggi […] ha vinto lo sport, la sua purezza e l’entusiasmo di un intero paese”.

 

Che questa sia la vittoria di un intero paese, in realtà, pare lecito dubitare. E’ la vittoria di una città e di due regioni sempre più aliene al resto del paese: una distanza rimarcata dall’atteggiamento ambivalente del governo rispetto al dossier, e che la buona riuscita dei Giochi non farebbe che ampliare. 

 

Si tratta, però, di una vittoria a cui è potenzialmente allegata una maledizione del vincitore da manuale. La storia economica delle olimpiadi è piuttosto monotona: con l’eccezione di Los Angeles 1984 – l’utopia realizzata di una manifestazione low cost interamente finanziata dai privati, con tanto di profitto finale – i Giochi celebrati dal 1960 al 2016 hanno fatto registrare costi drammaticamente superiori alle previsioni (in media del 156 per cento) e benefici contenuti o nulli per i livelli di reddito e di occupazione delle aree interessate. Anche nel caso di Barcellona 1992, più citato che studiato, la quantificazione dei benefici rimane controversa; quel che è assodato è che i costi siano pressoché quadruplicati.

  

Molte cose sono cambiate nel movimento olimpico con l’approvazione dell’Agenda 2020. Dovendo far fronte al calo delle vocazioni delle possibili candidate, all’ostilità sempre più marcata delle popolazioni locali, alle critiche diffuse per un livello di spesa inefficiente e ingiustificato, al rischio che nel futuro solo i regimi autocratici potessero permettersi di ospitare i maggiori eventi sportivi internazionali, il Cio ha rivisto i meccanismi e i criteri per l’assegnazione dei Giochi. Intanto, bando ai voli in business e alle suite prenotate per settimane per le delegazioni dei giudicanti, secondo i costumi instaurati dallo storico monarca dello sport mondiale, Juan Antonio Samaranch; e poi spazio alla parola chiave del Ventunesimo secolo, sostenibilità: basta cattedrali nel deserto, basta piani faraonici, basta ambizioni smisurate.

 

Di questo quadro rinnovato, la candidatura di Milano-Cortina ambisce a essere una testimonianza convincente. Le gare saranno distribuite in quattro aree –  oltre alla capitale lombarda e alle Dolomiti, la Valtellina e la Val di Fiemme; questo dovrebbe permettere uno sfruttamento più razionale delle strutture: dei quattordici impianti di gara previsti dal dossier, solo uno dovrà essere costruito ex novo, mentre negli altri casi si punta all’uso o al recupero dell’esistente. La spesa complessiva non dovrebbe superare gli 1,3 miliardi di euro – niente a che vedere con gli oltre 20 miliardi impiegati dalla Russia per l’allestimento di Sochi 2014 –  e i contributi del Cio dovrebbero coprirne circa 800 milioni. Infine, un occhio alla legacy: il villaggio olimpico di Milano dovrebbe essere riconvertito in residenze universitarie; quello di Cortina, temporaneo, donato alla Protezione civile.

 

Ma l’esperienza insegna che le promesse dei comitati organizzatori vanno accolte con una punta di salutare scetticismo. La strada dei dissesti olimpici è lastricata di buone intenzioni, come hanno imparato i torinesi, non appena l’ottimismo che circondava i Giochi invernali del 2006 si è scontrato con l’ispida realtà dei debiti cittadini e delle strutture abbandonate. Toccherà a Milano-Cortina 2026 invertire la rotta? E’ possibile, con l’impegno e la vigilanza di tutte le parti in causa. Scendere dal carro, grazie, e cominciare a spingere.

Di più su questi argomenti: