Il calcio a Cremona è nato in trattoria
Storia, cultura, cibo. Ma oltre a Stradivari ci sono i grigiorossi e lo stadio Giovanni Zini, che può ospitare un terzo degli abitanti della città
Uno dei figli illustri di Cremona è Ugo Tognazzi, che amava la cucina forse più del cinema. Per questo la Cremonese non poteva che nascere in una trattoria. Accade il 24 marzo 1903, alla Varesina, a due passi dal Torrazzo, simbolo della città, unico riferimento in altezza lì dove la Pianura Padana è più piatta che mai. Piatta, ma particolarmente vivace, perché come Tognazzi ha segnato un'epoca in Italia, altrettanto lo ha fatto Mina, nata per caso a Busto Arsizio ma cremonese a tutto tondo, anche se da tempo ha scelto il Ticino come dimora. E se uno fa un salto da quelle parti, sarà colpito dall'enorme quantità di liutai e di negozi di violini, che continuano una tradizione esaltata da Antonio Stradivari tra XVII e XVIII secolo.
Cultura, spettacolo, cibo e una grande passione per il calcio. Quello di Cremona non se la passa bene per parecchio tempo, una fugace apparizione nella prima serie A a girone unico nel 1929-30, con un ultimo posto e sole quattro vittorie, e un ritorno nel 1984. L'artefice dell'impresa è Domenico Luzzara, che entra nel club nel 1967 per diventarne presidente tre anni dopo. Con lui comincia la risalita, coronata dalla promozione con Emiliano Mondonico in panchina e Gianluca Vialli in campo. In maglia giallorossa sono già passati futuri campioni del mondo come Antonio Cabrini e futuri allenatori della Nazionale come Cesare Prandelli. Quello del 1984 è l'ultimo anno di Vialli, che Luzzara cede al suo amico Paolo Mantovani, che anticipa di un giorno l'esitante Giampiero Boniperti: in attacco con Mancini, avrebbe regalato lo storico scudetto alla Sampdoria. E la sua partenza coincide con la retrocessione immediata, per una serie di ritorni e addii alla serie A che dura fino al 1993, quando Gigi Simoni, altro allenatore venuto dalla gavetta, regala l'ultima promozione. In mezzo ci sono stati momenti da ricordare, come Gustavo Dezotti che, con l'Argentina, disputa la finale di Italia 90 da giocatore della Cremonese, o come Michelangelo Rampulla che, con un gol di testa per l'1-1 in casa dell'Atalanta il 23 febbraio 1992, diventa il primo portiere a segnare su azione nel campionato italiano.
Quello di Simoni è l'ultimo periodo d'oro della squadra grigiorossa, che resta in serie A per tre annate consecutive. Gli anni successivi sono un incubo, tra cadute che portano la squadra fino alla C2 e il declino dell'epoca Luzzara, che si congeda dalla società nel marzo 2002, a ottant'anni. Occorre aspettarne altri cinque perché si presenti l'uomo in grado di cambiare il corso delle cose. La società passa nelle mani di Giovanni Arvedi, che poco appare e tanto opera. A lui fa capo l'omonimo gruppo, leader italiano nella produzione dell'acciaio, entrato a giugno 2018 nella top 100 delle aziende a livello mondiale, con una produzione di oltre tre milioni di tonnellate. La squadra si presenta sempre tra le favorite alla B e manca sempre l'obiettivo, fino a quando sulla panchina non si siede Attilio Tesser, già artefice del miracolo Novara. Il tecnico centra la promozione nel 2017 arrivando primo a pari merito con l'Alessandria, ma beffandola per il vantaggio negli scontri diretti.
Oggi Tesser non c'è più, sta tentando identica impresa a Pordenone. Era stato sostituito in corsa la stagione scorsa da Andrea Mandorlini, a sua volta licenziato in questa per fare posto a Massimo Rastelli. Dopo la salvezza, si cerca la stabilità in categoria, per programmare un futuro nuovamente importante, anche se la serie A di oggi è altra cosa da quella dei tempi di Luzzara. Ma Arvedi ama programmare con cura e non a caso, accanto all'attenzione per la squadra, c'è anche quella per lo stadio. L'antico Giovanni Zini, che dal 1929 ospita la Cremonese, è appena stato ceduto al club per 99 anni. La proprietà ha già operato, con il rifacimento del settore distinti e con la copertura della Curva sud, quella che ospita gli ultrà. Il prossimo passo è un investimento di 8 milioni per ulteriori ammodernamenti di una struttura che può ospitare 22.000 persone: tantissime, se si pensa che equivale a poco meno di un terzo degli abitanti della città, ma giuste giuste se un domani da queste parti tornassero le grandi d'Italia.
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