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Le lacrime di Murray (e l'addio obbligato al tennis)

Giulia Medina

Il tennista scozzese vorrebbe chiudere la carriera a Wimbledon "ma non so se riuscirò a resistere altri 5 mesi con questo male" all'anca. E' riuscito a vincere tre Slam e due ori olimpici

Anticipiamo l'articolo di Giulia Medina che potete trovare sabato 12 gennaio nel Foglio Sportivo in edicola con il Foglio del weekend.

 


 

Era scavato, dimagrito, triste, inutilmente stanco, trent’anni e sentirsene addosso novanta, gli occhi dei bambini senza averne a disposizione il futuro. Gli hanno chiesto come stava, lui è scoppiato a piangere. “Scusate”, ha detto Andy Murray, poi si è alzato, hanno dovuto accompagnarlo fuori dalla sala stampa per farlo respirare. “No, non sto bene”, ha dichiarato appena è rientrato. L’anca, a cui è stato operato lo scorso gennaio, non è guarita. “Non posso continuare. Ho vissuto con il dolore per troppo tempo, venti mesi, e continuo a soffrire. E’ dura” poi si è di nuovo interrotto, la parola ritiro gli è rimasta incastrata in gola: “Vorrei finire la mia carriera a Wimbledon, ma non so se riuscirò a resistere altri 5 mesi con questo male”. Pochi giorni fa, il tennista scozzese  aveva festeggiato la fine “di un anno di merda”, trascorso tra fisioterapia e riabilitazione. Non pensava che fosse finito il suo tempo. Andy Murray in campo è stato isterico, nervoso, sempre pronto a esplodere tra occhiatacce, urla, botte in  testa, 14 anni di carriera e un solo nemico, sé stesso. “E’ forte Andy”, commentavano gli esperti “Peccato che ce ne siano altri tre più forti di lui”. Ha vissuto all’ombra dei giganti, Fab Four di riserva, il peggiore tra i migliori, un soprannome che non si è mai perdonato, come se la colpa fosse sua.

 


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Dopo la conferenza di Melbourne, l’account dell’All England Club ha twittato: “Caro Andy, qualunque cosa succeda, hai fatto più di quanto immagini”. E’ vero: Wimbledon (nel 2013 e nel 2016), Us Open, 2 ori Olimpici, 1 Davis, la prima posizione in classifica nell’era dei cannibali

 

Andy Murray aveva pianto nello stesso modo, proprio a Wimbledon, sette anni fa. Nel 2012 dopo la finale persa contro Federer, lo scozzese era scoppiato in lacrime senza riuscire a smettere. Sua madre sugli spalti, con gli occhi lo implorava: “Basta Andy, ti prego, ci stai uccidendo”. Ma il dolore era più forte di lui, si sentiva in colpa. “Grazie”, riuscì a dire rivolgendosi al pubblico. “E scusate”.

 

 

Federer provò a consolarlo. “Oggi non era il giorno giusto, ma arriverà anche per te”. E’ arrivato puntuale l’anno dopo, in finale contro Djokovic, quando Andy, scozzese orgoglioso di esserlo, riuscì a far credere agli inglesi di aver riportato l’insalatiera in Patria dopo 77 anni. Quel giorno con le mani al cielo e i pugni chiusi, baciò l’erba maledetta: “Ho vinto anche io, adesso lasciatemi giocare in pace”. Non ha mai pianto in quella finale, finalmente il tennis lo stava facendo sorridere.

 

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