Aurelio De Laurentiis (foto LaPresse)

La stagione da cinepanettone di Aurelio De Laurentiis

Leo Lombardi

Il Napoli chiude il campionato con un punteggio record. Ma le incognite sono più delle certezze (da Sarri alla bacheca dei trofei vuota da troppo tempo). E le recriminazioni del presidente non aiutano

Detto dei vincitori, occorre parlare dei vinti. Occorre parlare del Napoli, di un club (come di un tecnico, secondo alcune voci, o di una squadra, secondo altre) che a un certo punto della stagione ha deciso che non ci fossero forze sufficienti per puntare su obiettivi diversificati. Meglio quindi puntare su uno solo, lo scudetto ovviamente, facendosi buttare fuori dalla Champions League per meriti altrui e da Europa League e Coppa Italia per demeriti propri. Scudetto che non è arrivato, visto che non sono bastati i 91 punti e il conseguente nuovo record in serie A. “Perché i numeri parlano”, direbbe Massimiliano Allegri, e quelli della Juventus hanno detto 95, per il settimo scudetto consecutivo.

 

Una scommessa persa, che ora rischia di trasformarsi nell'anno zero del Napoli. Perché Maurizio Sarri pare non sentirsela più di stare in una realtà dove “ogni giorno devo dare il 101% di me stesso”. Soprattutto il tecnico fa i conti con una carta d'identità che dice 59 anni, con una carriera sbocciata tardi e con il desiderio di andare da altre parti per monetizzare e vincere. Il primo verbo tira in ballo il presidente Aurelio De Laurentiis, visto che lo stipendio del suo dipendente (1 milione e 400 mila euro) è pochissima roba se confrontato, per esempio, ai 7 milioni che riceve Allegri da una diretta rivale come la Juventus. Il secondo è invece una collaborazione – in negativo – tra allenatore e presidente. Perché sarà vero che da quando c'è Sarri il Napoli ha mietuto applausi per l'organizzazione di gioco, ma è altrettanto vero che da quando c'è Sarri, ovvero gli ultimi tre anni, non è arrivato nessun trofeo. Quelli dell'era De Laurentiis sono targati Walter Mazzarri (Coppa Italia del 2012) e Rafa Benitez (Coppa Italia nel 2014 e Supercoppa italiana nel 2015), uno che sarebbe meglio rivalutare visto che sette degli undici titolari attuali sono arrivati sotto la sua gestione: Reina, Albiol, Koulibaly, Ghoulam, Jorginho, Callejon e Mertens.

 

Perché, se si analizza anche velocemente la stagione del Napoli, si capisce come il fallimento scudetto sia stato dettato da due passaggi. Il primo, l'incapacità di Sarri di andare oltre un undici titolare, spremendo la squadra in maniera decisiva. Incapacità oppure consapevolezza, visto che le alternative fornite dalla società si chiamano Chiriches, Milic, Mario Rui, Machach, Ounas e via discorrendo. Il secondo, la non abitudine a gestire le pressioni, emersa in tutta la sua chiarezza – per assurdo – dopo aver vinto a Torino contro la Juventus. Nei giorni successivi la squadra non ha saputo reggere l'entusiasmo della piazza e lo schiaffo dato dai bianconeri, con la reazione vincente in casa dell'Inter. Il Napoli aveva ancora tutto per mettere la capolista sotto pressione fino all'ultima giornata, il pomeriggio successivo a San Siro è andato a farsi prendere in giro dalla Fiorentina, influenzato (ha sostenuto Sarri) dalla rimonta bianconera vista in televisione la sera prima.

 

Per questo suonano ancora più fuori luogo le parole di De Laurentiis quando dice che “abbiamo chiuso il campionato a -4 dalla Juve, quindi lo scudetto è nostro”, con riferimento al Var che avrebbe tolto 8 punti agli azzurri. Affermazioni senza fondamento, buone per accreditarsi le simpatie dei tifosi e che si inseriscono in una pessima abitudine: la colpa è sempre degli altri, mai propria. Quindi è colpa della Lega che avrebbe favorito la Juventus nella compilazione dei calendari (ricordate il Sarri del “giochiamo sempre prima della Juventus”?) o della Figc che ha aderito alla sperimentazione sull'assistenza tecnologica agli arbitri. Come se il Napoli non facesse parte a pieno diritto delle società che hanno voce in capitolo nel calcio e come se sul Var si fosse tutti vittima di un abbaglio collettivo, a cominciare dal presidente Fifa Gianni Infantino. Ma è più facile distogliere l'attenzione dalle proprie responsabilità, spacciando per verità ciò che è opinione. O per film vero un “Vacanze di Natale 2017” fatto con i ritagli dei 35 anni precedenti di cinepanettone.