Robert Lewandowski (foto LaPresse)

Qui si spiega perché l'attaccante di calcio perfetto è un mangiagol

Beppe Di Corrado
Robert Lewandowski ha fatto quattordici gol nelle ultime cinque partite. Quattordici gol negli ultimi sedici giorni. Fanno 0,8 gol al giorno (compresi quelli in cui non si è giocato), 2,8 gol a partita, 0,03 gol al minuto giocato.

Robert Lewandowski ha fatto quattordici gol nelle ultime cinque partite. Quattordici gol negli ultimi sedici giorni. Fanno 0,8 gol al giorno (compresi quelli in cui non si è giocato), 2,8 gol a partita, 0,03 gol al minuto giocato. Segna come è difficile veder segnare: gliene manca uno solo per raggiungere il record di gol nella storia delle qualificazioni per l’Europeo. E’ un mostro, una meraviglia. E’ la conferma che esiste una relazione tra i numeri e la forza di un giocatore. E’ la dimostrazione del suo contrario, pure. Perché è cambiato, ma Lewandowski è Lewandowski. E’ oggi ciò che era una volta, ovvero quando lo chiamavano Chancenmörder, l’assassino di occasioni. Accadeva a Dortmund, dove è di fatto diventato qualcuno e dove però rischiava di restare nessuno, anche meno. Era il 2010 e i tifosi del Borussia l’avevano chiamato così perché sbagliava molto. Era il sostituto di Lucas Barrios, che però l’anno dopo lasciò la Bundesliga per andare in Cina. Lewandowski titolare: 20 gol, cifra sotto la quale non è mai andato nelle successive quattro stagioni. Non ne sbaglia, dicono. Errore: ne sbaglia ancora. Perché dietro ogni attaccante che segna tanto c’è un attaccante che sbaglia tanto. Un mangiagol, straordinaria categoria del calcio.

 

Qualche tempo fa Opta, la società specializzata nell’analisi dei dati del calcio, fece la classifica dei non marcatori. Era aprile del 2014 e nella top ten c’erano 6 giocatori che erano anche nella top ten della classifica dei marcatori a fine stagione. E questi 6 erano tutti in saldo positivo, ovvero avevano fatto più gol di quanti ne avessero sbagliati: Immobile (22 gol fatti e 9 sbagliati), Palacio (17 fatti, 11 sbagliati), Llorente (16 fatti, 8 sbagliati), Gilardino (16 fatti, 11 sbagliati), Gilardino (15 fatti, 10 sbagliati).
Sbagliare è funzionale, spesso. Sbagliare è fisiologico, altrettanto spesso. Più tiri, più sale la percentuale d’errore, è statistica. Il mangiagol è fondamentale perché spesso in realtà è un goleador, o perché lo diventa. Tutti i grandi marcatori del passato hanno avuto un periodo più o meno lungo da assassini di occasioni, per dirla con il soprannome di Lewandowski. Sono stati Messi, Cristiano Ronaldo e Ibrahimovic a lasciar credere che fosse cambiato. Ma il problema è che questi tre sono l’eccezione, sono la coincidenza storico-temporale-sportiva che ha illuso. La storia è un’altra. La storia racconta cose diverse. Perché sbagliare i gol accomuna giocatori del passato e di oggi, professionisti e dilettanti. Mangiagol, eccoli. Una parola per tutti. Fanno tutto bene, hanno tempi giusti, modi giusti, tecnica giusta, la preparazione giusta, poi si sfaldano in un momento. E’ la loro cifra: non segnano. Per un periodo definito o per sempre. Hanno il mondo davanti e sprofondano in un buco nero. Salvo poi riprendersi e riempire quel vuoto. Allora arriva l’altra partita, arriva l’altra occasione, lui e il portiere, uno contro l’altro, lui e la porta, lui e il pallone, lui e le sue deboli certezze: palo. E’ un tormento per il tifoso che crea il nomignolo che ti porterai per la vita, nonostante le classifiche dei bomber smentiscano. Perché al mangiagol nel momento in cui viene definito così non si concedono neppure le attenuanti generiche. E’ il pregiudizio che cancella ogni giudizio, è la preclusione che impedisce ogni ragionamento. La realtà invece racconta che tolti quei tre, Messi, Cristiano e Ibra, quasi tutti i grandi marcatori sono stati dei grandi divoratori di gol. Lo è stato Gerd Muller, lo è stato Paolo Rossi, lo è stato Lineker, lo è stato Filippo Inzaghi, lo è stato Raul, lo è stato Shearer, lo è stato Van Nistelrooy. Bisogna andarseli a cercare i filmati degli errori sotto porta, delle svirgolate, dei colpi di testa mancati: sembrano tutti incredibilmente brocchi, come ogni mangiagol appare al tifoso che lo idealizza al contrario quando lo bolla così. Perché è questo il perverso meccanismo: la considerazione, il giudizio sono dell’emotività del tifoso che marchia un giocatore in relazione a un momento. Tutti quei campioni sono stati Mangiagol e nessuno lo ricorda adesso. E oggi, con Lewandowski, lo è Icardi, lo è Tevez, lo è Suarez, lo è Neymar, lo è Higuain, lo è Benzema, lo è Bale. Ovvero i migliori attaccanti del campionato italiano, della Champions o dei campionati esteri (eccezion fatta per quei tre). Si sbaglia per molte ragioni, per eccesso di sicurezza, per superficialità, così come anche per una zolla di terra che cambia la traiettoria del tiro o dell’assist e ti fa perdere il tempo della giocata.

 

[**Video_box_2**]Lewandowski che ne fa cinque contro il Wolfsburg, che segna ogni volta che tocca la palla, sbaglia ancora molto. Ad agosto di quest’anno, nell’Audi Cup, contro il Real Madrid è riuscito a non segnare a porta vuota: la palla arrivava dalla sinistra, con il portiere fuori dai pali, lui a un metro dalla linea di porta, ha calciato fuori. Qualcosa di molto simile a quello che è accaduto a Correa della Sampdoria contro l’Inter nell’ultima giornata di serie A. Cinque anni fa sarebbe stato un altro pezzo della storia di Chancenmörder, oggi è il difetto veniale di un centravanti da fantascienza. Ma non sono poi la stessa cosa? In un codice non scritto tra calciatori, il gol sbagliato è un errore che vale meno di altri. Perché lo commette chi poi segna o chi non è abituato a segnare. Gli attaccanti, anche quelli che segnano meno, fanno più gol di quanti ne sbagliano ed è spesso statisticamente provato che a quelli che ne fanno pochi accade che l’allenatore abbia chiesto un lavoro diverso, spesso ingrato: tenere la palla, giocare di spalle, far inserire i compagni. Se segnano molti centrocampisti, state certi che ci sarà un attaccante bollato come mangiagol. E’ un destino conosciuto a chi gioca davanti. Non è mai un problema, o quasi mai. Perché i numeri spesso tornano e i giocatori li vedono. Valgono più delle parole, più dei nomi, più dei soprannomi. Altrimenti non avremmo avuto Lewandowski. Altrimenti non avremmo avuto mezza storia del calcio moderno.

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