Il leader del M5s Luigi Di Maio presenta la card per il reddito di cittadinanza (foto LaPresse)

Salari e lavoro con il reddito di cittadinanza

Lorenzo Borga

Con stipendi medi al primo impiego di 830 euro, il sussidio sarà un elemento di disincentivo alla ricerca di lavoro, dice Confindustria. Il reddito spingerà al rialzo i salari, ribatte il M5s. Il rischio dei mini jobs. Le prospettive

Il decreto del governo sul reddito di cittadinanza fa parlare di sé. In commissione al Senato si sono svolte le audizioni di diverse organizzazioni: la maggior parte si è dimostrata consapevole dell’importanza di uno strumento di supporto alla povertà ma critica sulle modalità di attuazione del provvedimento. Tra i vari punti deboli, Confindustria nella sua memoria ha sottolineato “il livello troppo elevato del beneficio economico”. I 780 euro mensili che percepirà un single a reddito zero potrebbero rappresentare un elemento di disincentivo alla ricerca di un lavoro. Infatti, ha sottolineato Confindustria, lo stipendio mediano dei giovani under 30, al primo impiego, “si attesta sugli 830 euro netti al mese” e al sud è perfino inferiore alla soglia dei 780.

  

Apriti cielo. Diversi esponenti della maggioranza hanno attaccato Confindustria, invocando piuttosto salari più alti per i giovani. Tra loro c’è il viceministro all’Istruzione Lorenzo Fioramonti, anche professore di economia all’università di Pretoria, che su Twitter si è spinto oltre: “Il reddito aiuterà a non essere sfruttati e spingerà al rialzo i salari per renderli competitivi e aumentare la produttività”. Anche Pasquale Tridico, professore di Economia e consulente di Di Maio, in una sua lettera al Corriere della Sera di alcuni giorni fa, scriveva che la misura rappresenterà la spinta iniziale di una pressione verso l’alto dei salari e il riposizionamento del nostro paese su una frontiera di produttività più elevata. Secondo gli economisti vicini al Movimento 5 stelle dunque il reddito di cittadinanza non solo aiuterà i poveri, ma farà anche aumentare i salari nel mercato del lavoro.

  

Il modo più efficace per incrementare nel lungo periodo i salari è rilanciare la produttività del lavoro, stagnante da più di 20 anni. Altrimenti non si potranno che ottenere redistribuzioni non sostenibili nel medio periodo

La questione è annosa: gli effetti, in un verso e nell’altro, possono essere molteplici e anche contemporanei. Prevedere quale sarà il risultato è dunque impossibile, per di più per il metodo del fact-checking che si basa su dati e fatti, piuttosto che su previsioni. Possiamo però riavvolgere il nastro, ascoltando il parere di alcuni esperti, e comprendere quale sia lo scenario più probabile. Va però chiarito in partenza un aspetto: il modo più efficace per incrementare nel lungo periodo i salari è rilanciare la produttività del lavoro, in Italia stagnante da più di 20 anni. Altrimenti non si potranno che ottenere redistribuzioni, o aumenti inflazionistici, non sostenibili nel medio periodo. E purtroppo i lavoratori coinvolti nel reddito di cittadinanza hanno spesso gradi di produttività ridotti, il che li porta a ricevere bassi salari.

 

In effetti gli stipendi da lavoro in Italia sono relativamente bassi. Secondo Eurostat lo stipendio annuale netto medio italiano nel 2015 di un single senza figli è inferiore rispetto alla media europea e a paesi come Germania, Francia e Regno Unito. I working poor, vale a dire gli individui che pur avendo un lavoro rientrano tra i poveri per via del basso salario, sono numerosi anche nella platea del reddito di cittadinanza. Secondo l’Inps rappresentano poco meno del 50 per cento dei nuclei beneficiari.

 

In questo contesto, quale potrebbe essere l’effetto del reddito di cittadinanza? In teoria, secondo il modello base di economia del lavoro, il sussidio potrebbe aumentare i salari di riserva dei beneficiari, vale a dire la retribuzione minima per cui si è disposti ad accettare un impiego. Infatti, chi riceverà il reddito di cittadinanza potrà rifiutare un’offerta ritenuta troppo bassa, confidando sulla sicurezza di un reddito comunque in tasca. Così, se le aziende volessero assumere un lavoratore dovrebbero offrirgli un salario più alto. In questo modo i salari potrebbero effettivamente crescere, mentre l’occupazione decrescerebbe perché più costosa per i datori di lavoro. Questa teoria potrebbe trovare maggiore applicazione nel caso i lavoratori fossero sotto-pagati rispetto alla loro produttività, ma anche in questo caso – come vedremo nei prossimi paragrafi – le probabilità sono purtroppo basse.

 

Prima di tutto la platea che beneficerebbe del reddito di cittadinanza è limitata. Circa 2 milioni e mezzo secondo i rapporti di Istat e Inps, di cui molti non in grado di lavorare perché pensionati, con carichi famigliari da sostenere, malati o con scarse possibilità di trovare un lavoro. L’effetto indotto da questa piccola fetta dei lavoratori dunque non potrà essere determinante: secondo l’Istat l’80 per cento dei disoccupati non rientra nel reddito di cittadinanza. Inoltre, se anche si verificasse l’aumento dei salari di riserva i beneficiari potrebbero trovarsi in competizione nel mercato del lavoro con lavoratori disposti ad accettare un salario minore. Secondo Andrea Salvatori, economista dell’Ocse ed esperto di mercato del lavoro, è il caso probabile dei lavoratori extracomunitari – come anche di tutti gli altri disoccupati senza sussidio – in buona parte esclusi dal programma di lotta alla povertà perché non residenti in Italia da almeno 10 anni, che potrebbero accettare i salari rifiutati dai beneficiari del reddito di cittadinanza. Questo effetto di competizione potrebbe essere affievolito dalle decontribuzioni previste dal decreto per le aziende che assumono beneficiari del sussidio. Gli sconti però si applicherebbero solo ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato e a tempo pieno, poco probabili per questa fascia di lavoratori a bassa competenza (secondo Anpal il 64 per cento dei beneficiari ha al massimo la licenza media). L’esclusione degli stranieri porta dunque svantaggi per tutti, con una prevedibile eterogenesi dei fini.

 

Cosa succederà all’occupazione? Se sale il salario di riserva, è probabile che la propensione a lavorare, e quindi l’occupazione, diminuisca. Oggi i centri per l’impiego intermediano solo circa il 3 per cento delle persone alla ricerca di lavoro

Ma c’è anche un altro rischio all’orizzonte. Si tratta dei mini jobs, contratti di lavoro a bassa intensità e basso stipendio che dilagano in Germania, spesso associati con l’Hartz Iv, il reddito minimo tedesco (secondo Valigia Blu sarebbero circa 1 milione i lavoratori coinvolti in mini jobs, un quarto dei beneficiari del programma). Con il reddito di cittadinanza potrebbero diffondersi anche in Italia. Secondo Andrea Garnero c’è il rischio di collusione tra datore di lavoro e lavoratore: “Ti offro solo un contratto di stage, un cocopro o un part-time al minimo indispensabile e il resto lo completi con il sussidio”. Infatti il reddito di cittadinanza colma la differenza tra il reddito percepito e la soglia di 780 euro (che cresce via via che si allarga il nucleo famigliare). Così i salari, invece che aumentare, si ridurrebbero. Un fenomeno probabile dal momento che il sussidio previsto dal governo è in effetti molto alto, soprattutto per i single, che rappresenteranno quasi la metà dei beneficiari: secondo l’Osservatorio sui Conti Pubblici di Carlo Cottarelli 780 euro sono il livello di reddito minimo più alto in Europa se confrontato con il reddito medio pro capite dei vari paesi. Fenomeno simile può avvenire per via di un allargamento del lavoro nero, che permetterebbe ai beneficiari di ottenere il sussidio e sommarlo al reddito da lavoro illegale.

  

Questi effetti potrebbero avere riscontri differenti sulla base del settore economico e della regione. Se infatti gli assegni sono nazionali, il costo della vita e i salari medi variano notevolmente da regione a regione, e anche tra campagna e città. Ciò significa che se ci fosse un effetto virtuoso sui salari, questo sarebbe più probabile in quelle aree con salari più alti e con aziende a più alto margine di profitto. Altrove invece si potrebbe alimentare la disoccupazione o il disincentivo a lavorare.

 

Ma, oltre ai salari, cosa succederà all’occupazione? Se sale il salario di riserva, è probabile che la propensione a lavorare, e quindi l’occupazione, diminuisca. Uno degli obiettivi primari del reddito di cittadinanza è però proprio quello di aumentare i posti di lavoro, un approccio più volte criticato anche sul Foglio. Pasquale Tridico ha affermato che la misura per valutare il successo del provvedimento sarà il dato sugli occupati, e non quello sui poveri. Dato l’obiettivo, i centri per l’impiego dovranno spingere sull’acceleratore per contrastare l’effetto, innegabile, di disincentivo al lavoro, esortando i beneficiari a cercare un’occupazione. Tuttavia le drammatiche condizioni del sistema dei centri per l’impiego in Italia portano a essere scettici: oggi dispongono di poco meno di 10 mila dipendenti e intermediano solo circa il 3 per cento delle persone alla ricerca di lavoro. Secondo l’Istat circa il 98 per cento di chi ha usufruito dei loro servizi nel 2017 non li ha ritenuti utili. Cambiare questa condizione in soli tre mesi sarà impossibile.

  

Uno strumento tramite il quale potrà essere possibile incalzare i beneficiari a cercare lavoro è il limite delle tre offerte. Ma sarà molto complicato trovarle, in particolare in alcune zone: al sud la disoccupazione è doppia rispetto alla media nazionale e in numerose province il tasso di occupazione non supera il 40 per cento. Inoltre, le esperienze e gli studi a livello internazionale mostrano che spesso è quasi impossibile per i lavoratori più in difficoltà rientrare nel mercato del lavoro tramite questo tipo di condizionalità. Il decreto non prevede nemmeno una vera scadenza del sussidio, prorogabile dopo 18 mesi, e questo sarà un altro elemento di scoraggiamento a cercare una nuova occupazione. Va sottolineato, comunque, che il decreto contiene anche alcune positive forme di incentivo ad attivarsi: una su tutte, il calcolo parziale del reddito da lavoro (all’80 per cento) in caso di nuova occupazione. In questo modo 1 euro guadagnato dal lavoro riduce solo di 80 centesimi il sussidio.

  

Mentre altrove – come negli Stati Uniti per l’Eitc – si studia a fondo l’effetto potenziale di disincentivo al lavoro degli strumenti anti povertà, analizzando la soglia ottimale per sconfiggere la povertà senza cadere nella sua trappola, in Italia i 780 euro del reddito di cittadinanza hanno un’origine che pochi conoscono, tutt’altro che fondata su un’analisi economica seria. Nel 2012 l’Istat aveva descritto – a titolo di semplice esempio – una forma di reddito minimo, simulandone il costo e gli effetti. I Cinque stelle ne hanno copiato gli essenziali, tenendo come riferimento la soglia di povertà monetaria relativa dell’Unione europea del 2014, di 780 euro. Un valore che però non ha più senso, sia perché datato, sia perché da mesi ormai i Cinque stelle hanno abbandonato l’idea di coprire anche la povertà relativa, per concentrarsi invece su quella assoluta. Ma i simboli, si sa, in politica sono fondamentali, soprattutto quando ci costruisci sopra una campagna elettorale. Anche quando rischiano di pregiudicare un intero programma di policy, fondamentale com’è il contrasto alla povertà.