Il commissario europeo per gli Affari economici Pierre Moscovici (Foto LaPresse)

Folgorati sulla via dell'odiata Bruxelles

Lorenzo Borga

La ricetta europea ha impoverito il paese, dice Salvini: bisogna cambiarla. In realtà l’Italia non ha seguito fino in fondo la terapia consigliata dal medico. E parte di quei suggerimenti ora fa capolino nel contratto di governo

Se ci sentiamo male e abbiamo bisogno di cure ci rivolgeremo a un medico, il quale ci prescriverà una medicina. Se la nostra salute non ne beneficiasse è possibile che decideremmo di cambiare medicina o direttamente ci rivolgeremmo a un altro dottore. E’ da considerare tuttavia anche il caso in cui la mancata guarigione sia dovuta non all’inefficacia della prescrizione, bensì al mancato rispetto della ricetta prescritta.

Di ricette e medici ha parlato Matteo Salvini: “Se la ricetta adottata fino ad ora ha reso l’Italia più povera e più disoccupata bisogna fare l’esatto opposto, cambiando anche il medico che fino ad ora è stata l’Europa”. L’esatto opposto è l’abolizione della riforma Fornero, il reddito di cittadinanza, l’inversione di marcia del deficit, in chiave esplicitamente antieuropea. Per comprendere quale sia stata invece la ricetta adottata fino ad ora serve ascoltare ancora Salvini: secondo il ministro “l’austerity è un percorso non più percorribile”.

 

In realtà di austerity in Italia negli ultimi anni ne abbiamo avuta ben poca. Per comprenderlo si può osservare l’indicatore del saldo primario sul pil, ovvero la quota di spesa pubblica al netto della somma pagata per gli interessi sul debito. L’Italia da anni spende meno di quanto incassa, al netto degli interessi, mantenendo quindi un saldo primario positivo. Si tratta di una condizione necessaria – ma non sufficiente – per ridurre il rapporto debito/pil e dell’unico strumento a stretto controllo dei governi per riuscirci (la spesa per interessi è condizionata anche dai mercati finanziari e la crescita economica dal settore privato e dall’estero). Ebbene il saldo primario, come certifica l’Istat e come sottolinea spesso l’economista Veronica De Romanis, dal 2012 non è che calato: dal +2,3 per cento al +1,5 per cento del 2017, mostrando una politica economica espansiva. Nello stesso periodo è calato lentamente anche il valore del deficit, soprattutto grazie alla riduzione della spesa per interessi (da 5,2 a 3,8 per cento negli stessi anni) dovuta all’azione del quantitative easing della Banca centrale europea. E’ dunque assai fuorviante affermare che in Italia fino ad oggi vi è stata una politica di austerità fiscale. La decisione del governo Conte inverte sì la marcia – perché aumenta il livello di deficit rispetto all’anno precedente e porta il saldo primario all’1,3 per cento, riducendolo ulteriormente – ma rimane nel solco della politica economica espansiva adottata dai governi precedenti.

 

L’unico periodo contraddistinto da vere politiche di austerità è stato invece quello del governo guidato da Mario Monti, che aumentò in modo sostanziale il saldo primario. Una scelta che la teoria keynesiana – che prescriverebbe politiche espansive in recessione e politiche restrittive in periodi di crescita – boccia ma che la realtà aveva indicato come unica scelta possibile, vista la difficoltà con cui l’Italia riusciva ad accedere al finanziamento dei mercati internazionali. La narrazione della maggioranza contro l’austerità continua descrivendo questa scelta economica inefficace anche nel perseguire gli obiettivi che dovrebbero esserle più coerenti: “l’austerity è stata un fallimento e ha contribuito a far aumentare il debito pubblico”, sostiene Luigi Di Maio.

Proprio i mesi di governo di Monti sono portati ad esempio dell’eterogenesi dei fini dell’austerità, che avrebbe spinto il rapporto debito/pil non a scendere bensì a salire (dal 116 del 2011 al 129 per cento del 2013), nonostante la riforma delle pensioni e la re-introduzione dell’imposta sulla prima casa, per più di due punti di pil. Sarebbe accaduto perché la cura avrebbe avuto un effetto più forte sul pil che sul debito, riducendo il denominatore e facendo dunque esplodere il rapporto. Questo è vero, ma ciò che oggi si afferma - come ha fatto Di Maio - è che l’aumento del debito si sarebbe potuto evitare senza la cura del governo tecnico. Uno scenario senza prove né controfattuali a cui risponde uno studio dell’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli, che ha stimato l’aumento del debito pubblico in assenza degli interventi correttivi di Monti. Il debito/pil avrebbe raggiunto entro il 2018 la soglia del 142 per cento, undici punti più in alto rispetto al livello attuale. Dunque, anche affermare che l’austerity non sia riuscita nel suo intento a contenere l’esplosione dei conti pubblici non è un’affermazione certa come potrebbe sembrare.

 

Torniamo alla famosa ricetta europea citata da Matteo Salvini. Secondo il vicepremier, che esprime una posizione condivisa da tutto il governo, le indicazioni della Commissione europea avrebbero impoverito il paese. Per dimostrarlo riporta due casi: la povertà e la disoccupazione. Sulla prima potrebbe avere ragione, la povertà dall’inizio della crisi è raddoppiata, mentre la disoccupazione scende – lentamente – dalla fine del 2014 e ora si attesta sotto la soglia psicologica del 10 per cento. L’aspetto interessante è però un altro: per affermare che la medicina non funziona l’Italia avrebbe dovuto seguire fino in fondo il trattamento previsto dal medico. Eppure, a leggere le raccomandazioni della Commissione europea del 2018, così pare non essere stato. L’Unione europea infatti non monitora solo gli obiettivi di bilancio accordati con gli stati membri, bensì fornisce anche una serie di raccomandazioni su tutti i più importanti ambiti di intervento del governo centrale. Un’attività di monitoraggio che avviene con lo scopo di favorire il processo di convergenza in termini di crescita e di equilibrio dei conti pubblici tra gli stati membri, condizione fondamentale per il funzionamento di un’unione monetaria.

 

Sul fronte delle imposte la Commissione fa notare nelle sue raccomandazioni che la pressione fiscale italiana su lavoro e capitale è ancora tra le più alte, con effetti negativi su investimenti e occupazione. In particolare critica la scelta di eliminare l’imposta sulla prima casa, come deciso dal governo Renzi, piuttosto che ridurre in modo strutturale il cuneo fiscale per i lavoratori, più problematico per la crescita rispetto alle imposte patrimoniali. I commissari europei sottolineano inoltre che non è stato ancora ridotto il numero delle eccessive agevolazioni fiscali, a differenza di quanto previsto dalla normativa nazionale. Le critiche arrivano ancora sull’innalzamento del limite legale del pagamento in contanti, altro provvedimento deciso dal governo Renzi. Non avevamo seguito alla lettera i diktat di Bruxelles?

 

La Commissione lamenta anche un livello troppo basso degli investimenti, a causa delle piccole dimensioni delle imprese italiane e della loro difficoltà di accedere al credito. La critica coinvolge pure quelli pubblici, rimasti a un livello molto basso negli anni successivi alla crisi.

 

Anche sulla giustizia l’Italia parrebbe non aver seguito la ricetta europea: “Il tempo necessario per definire contenziosi civili e commerciali è ancora uno dei più lunghi dell’Ue in tutti i gradi di giudizio” e “l’arretrato della Cassazione è ancora uno dei più elevati pro capite”.

 

Sul lavoro la Commissione picchia duro. La contrattazione aziendale rimane troppo limitata e ciò frenerebbe l’adeguamento delle retribuzioni alle condizioni economiche locali. Sulle politiche attive invece la critica si concentra sui servizi per l’impiego che risentono della carenza di personale. La Commissione ci sprona anche a migliorare il basso livello di partecipazione femminile nel mercato del lavoro, sul quale scarsi sono stati gli effetti delle misure introdotte dai precedenti governi, come il bonus bebè.

 

L’istruzione è un altro fronte di giudizio negativo. La percentuale di studenti che abbandonano la scuola è ancora al di sopra del livello europeo e l’istruzione terziaria è “fortemente sotto finanziata” e per questo la diffusione di laureati è tra le più basse di tutta l’Unione europea.

 

Infine la lotta contro la povertà, tema caro al governo Conte, sul quale per anni siamo stati criticati da Bruxelles. E’ fin dal 1992 che Bruxelles ci indica di introdurre una misura assistenziale universale di contrasto alla povertà, consiglio seguito finalmente dal governo Gentiloni con il Rei e dal governo Conte con il prossimo reddito di cittadinanza. Una medicina non così amara per il Movimento 5 stelle.

 

Le dettagliate raccomandazioni della Commissione europea mettono in chiaro due punti. Primo, l’Italia ha spesso deviato dai suggerimenti europei, a torto o a ragione, ed è dunque parzialmente scorretto affermare che negli ultimi anni seguire le indicazioni di Bruxelles abbia portato il paese a peggiorare la propria condizione. Se la medicina non ha avuto effetto, è probabilmente perché non si è seguita fino in fondo la terapia consigliata dal medico. I dati sulla produttività italiana stanno a dimostrarlo, nonostante siano drammaticamente ignorati da gran parte della classe politica: dal 2000 è sostanzialmente ferma, mentre Francia, Germania, Spagna e Portogallo l’hanno incrementata di un terzo nello stesso periodo.

 

In secondo luogo molti dei suggerimenti di Bruxelles sono rientrati nel contratto di governo di Lega e Movimento 5 stelle: la lotta alla povertà con il reddito di cittadinanza, l’incremento dei finanziamenti alla scuola, la riforma dei centri per l’impiego, il taglio dei tempi della giustizia, la riduzione del cuneo fiscale e delle tax expenditures trovano posto nel documento firmato da Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Folgorati sulla via dell’odiata Bruxelles?