Il punto

I social grondano davvero del "sangue" dei ragazzi? Le colpe che gli adulti nascondono

Maurizio Crippa

Alcuni senatori tre settimane fa hanno accusato i capi delle aziende che gestiscono i social media di "avere le mani sporche di sangue", visto che i minori vengono esposti senza filtri al rischio di reati sessuali, dipendenze, autolesionismo, bullismo. Di chi è la responsabilità, alla fine?

Chissà se i senatori americani che tre settimane fa hanno accusato i capi delle aziende che gestiscono i social media di “avere le mani sporche di sangue” sono fieri oppositori anche della potente lobby che, al Congresso, impedisce la limitazione delle armi da fuoco, oppure no. Non che la cosa importi, c’è sempre un margine di ipocrisia in politica, soprattutto nelle così dette battaglie valoriali. Le armi da fuoco, negli States, grondano senza dubbio più sangue ma i social media non sono innocenti, soprattutto quando il loro mercato, i loro “user” sono i minori. Per gli attivisti di Design it for us – che portano avanti le accuse ad aziende come Meta, X, Snap, ByteDance (TikTok) – i minori vengono esposti senza filtri al rischio di reati sessuali, dipendenze, autolesionismo, bullismo. Per non parlare dei facili acquisti di medicinali pericolosi o droghe. Il punto su cui però occorre riflettere, e per fortuna esistono ambiti in cui lo si fa, è se tutta questa esposizione al rischio, o peggio creazione del danno, venga operata scientemente: cioè, escludendo la volontà di fare del male, scegliendo di nascondere o minimizzare i rischi. È il vero punto da decidere.

 

 

Il senatore della repubblicano della South Carolina, Lindsey Graham, aveva detto: “Stanno distruggendo vite umane e minacciando la democrazia. Queste aziende vanno domate e il peggio deve ancora venire”. La potenza di questi mezzi di socializzazione, moltiplicata all’infinito dagli algoritmi, dall’internazionalizzazione e dal puro business – nel 2022 negli Stati Uniti 11 miliardi di dollari di pubblicità ha interessato 50 milioni di utenti minori – è enorme e il dibattito è incandescente. Pochi giorni fa la città di New York ha aperto una causa contro le big con l’accusa di provocare “danni alla salute mentale di bambini e ragazzi” e di avere consapevolmente costruito le loro piattaforme per “attrarre, catturare e creare dipendenza nei giovani”. Ha dichiarato il sindaco Eric Adams: “Negli ultimi dieci anni abbiamo visto quanto il mondo online possa esporre i nostri figli a un flusso continuo di contenuti dannosi e alimentare la crisi nazionale della salute mentale dei giovani”. Ma anche la Commissione europea ha deciso, sull’onda americana, di aprire una procedura contro TikTok per possibili violazioni degli obblighi di tutela dei minori.
 

È sempre sulla intenzionalità che si deve riflettere. Gli automatismi sono sempre esposti a risposte ambigue e dubbiose. Anni fa il tema fu se strumenti (aziende) come Facebook fossero solo “linee telefoniche” su cui transitano contenuti di cui non sono responsabili, oppure no. Si decise che in parte sì (la guerra alle fake news eccetera), ma ovviamente entro limiti legali dati. Lo stesso vale ora per i social: sono i soli responsabili, o esiste una responsabilità anche di chi li usa (e, nel caso di minori, di chi dovrebbe controllare l’uso?). È un po’ come sostenere che i responsabili di una (pur evidente) degenerazione educativa degli adolescenti siano esclusivamente gli influencer. Ora, posto che la cattiva influenza viene anche da un media tradizionale come Sanremo, è chiaro che Sanremo più la sua seconda vita attraverso i social abbia una influenza enorme su gusti e comportamenti. Ma si potrà accusare di tutto Amadeus, o la Rai? Sappiamo che combattere i produttori e i prodotti dell’Intelligenza Artificiale (di questo si tratta, in ultima analisi) soprattutto quando si sovrappongono e determinano le nostre relazioni interpersonali (persino, o soprattutto, quelle immaginarie) sarà sempre più difficile. E tanto più per minori e “young adult”.

 

 

Allo stesso tempo, affidarsi alla condanna dello strumento – e di chi lo possiede e gestisce – è riduttivo e inefficace. Come si colloca in queste dinamiche sociali e collettive la responsabilità di chi ha un rapporto diretto minori? Figli, allievi. Famiglie, insegnanti e genericamente educatori possono intervenire, guidare, esigere o imporre regole.  Sebbene un recente studio dell’Università Cattolica ripreso da Avvenire su “Alfabetizzazione mediatica e digitale a tutela dei minori” abbia confermato gli evidenti rischi di “esperienze negative” nella rete, emerge da quello e da altri studi che esiste anche una crescita per così dire naturale di consapevolezza nell’utilizzo dei social media da parte dei minori. Quello che manca è spesso il ruolo degli adulti. Ma non bastano nuove leggi a sostituirlo

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"