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dopo il 7 ottobre

Che Giorno della memoria ci aspetta in questo ritorno di antisemitismo

 Giovanni Belardelli

L'accostamento sempre più diffuso tra Israele e il nazismo, l'ostilità crescente verso gli ebrei e il senso di una data, il 27 gennaio. Dobbiamo iniziare a chiederci cosa non abbia funzionato

Cosa pensiamo di fare – autorità nazionali e locali, insegnanti, giornalisti, cittadini comuni, tutti noi insomma – per il prossimo 27 gennaio, Giorno della memoria? Possiamo decentemente ricordare le vittime della Shoah quando, in Italia e nel mondo (all’Aia per esempio), in tanti sostengono che da vittime che erano gli ebrei sono ormai diventati, come governo e come cittadini di Israele, responsabili di un nuovo genocidio, di una nuova Shoah? Da questo punto di vista poco importa che si tratti di un’accusa infondata. Il punto è che comunque essa circola largamente e determina il nuovo contesto in cui quest’anno bisognerebbe celebrare il giorno della memoria. Sarà possibile?

E’ lecito dubitarne alla luce di dati come quelli contenuti in un’indagine dell’Istituto Cattaneo tra circa 2.500 studenti di tre grandi atenei del nord Italia (“Studenti universitari, ebrei e Israele prima e dopo il 7/10/2023”) che, resa nota il 20 novembre, non ha avuto l’attenzione che meritava. La ricerca, che classifica le risposte anche alla luce dell’orientamento dei giovani lungo l’asse destra/sinistra, conferma la diffusione soprattutto a destra degli stereotipi che caratterizzano l’antisemitismo tradizionale, come l’idea che gli ebrei siano a capo di una cospirazione mondiale attraverso il controllo della finanza; al contempo rivela come sia soprattutto a sinistra che viene condiviso (da circa il 60 per cento degli intervistati) il paragone tra il comportamento di Israele verso i palestinesi e quello della Germania nazista verso gli ebrei. Peraltro l’accostamento tra Israele e il nazismo incontra un’ampia approvazione tra tutti gli intervistati, quale che sia il loro orientamento politico. Ma al riguardo la cosa più interessante è forse un’altra.

 

I ricercatori dell’Istituto Cattaneo, che hanno condotto la loro indagine a cavallo della strage di Hamas del 7 ottobre, evidenziano come il numero di chi concorda con la similitudine tra Israele e la Germania nazista  cresca “nei giorni immediatamente successivi alla strage terroristica, molto prima della risposta del governo israeliano”. Questo ci dice in sostanza che la condivisione di quella equazione Israele-nazismo in realtà è indipendente da ciò che Israele fa o non fa; è così indipendente che può perfino aumentare dopo il massacro perpetrato da Hamas e prima dei massicci bombardamenti israeliani su Gaza con le molte vittime civili che ne sono seguite. Potremmo dire, generalizzando, che la ricerca sembra confermare una delle caratteristiche fondamentali dell’antisemitismo: il suo configurarsi come un atteggiamento “a prescindere”, legato non alle azioni degli ebrei ma a ciò che essi rappresentano (agli occhi dell’antisemita, ovviamente).
Ma c’è ancora un’altra conclusione che si può ricavare da questa ricerca. Possiamo supporre che più o meno tutti gli studenti universitari che hanno risposto alle domande dell’indagine abbiano partecipato, negli anni di scuola, alle varie iniziative che ogni istituto organizza in occasione del giorno della memoria, che rappresenta ormai la data centrale nel calendario celebrativo scolastico. Se dovessimo giudicare dalle risposte degli studenti intervistati, allora è difficile non concluderne che quelle iniziative sono servite a ben poco, diciamo pure a nulla, visto che restano diffusi i più tradizionali pregiudizi antisemiti e che si può disinvoltamente paragonare Benjamin Netanyahu ad Adolf Hitler (con la conseguenza anche di una inevitabile, clamorosa banalizzazione del nazismo perché il paragone vale nei due sensi, dunque implica che Hitler, in fondo, non era che uno come Netanyahu…).

 

Del resto, anche un’indagine Eurispes condotta nel 2020 induceva a conclusioni analoghe. Riportava infatti che per un 15,6 per cento di italiani lo sterminio degli ebrei non ci sarebbe mai stato; un dato che era in netto aumento rispetto a una analoga indagine che lo stesso istituto aveva condotto nel 2004 e che forniva una percentuale assai più bassa, del 2,7 per cento. Se ne ricavava dunque che la significativa minoranza rappresentata da quanti negano la Shoah era aumentata proprio in un paese che pure dedica al ricordo dell’evento una apposita giornata, istituita nel 2000 e diventata subito centrale nel nostro calendario civile.  
So bene che uno statistico, forse gli stessi ricercatori dell’Istituto Cattaneo o dell’Eurispes, potrebbe considerare queste conclusioni troppo grossolane. E’ possibile, ma qui siamo di fronte a un dato che mi pare macroscopico: una diffusa e crescente ostilità per gli ebrei che viene dopo più di vent’anni di iniziative varie e costanti per il giorno della memoria; iniziative che, in molti casi, potrebbero aver avuto soltanto la funzione di nascondere un antisemitismo carsico e perfino banale (lo stesso, temo, che ha fatto parlare al tg della 7 del 18 gennaio di morti nei “bombardamenti ebraici” su Gaza). Dobbiamo dunque chiederci cosa non abbia funzionato, magari cominciando a riflettere sulle obiezioni che qualcuno aveva pure fatto sul Giorno della memoria: dalla stessa data scelta, il 27 gennaio, che, ricordando un fatto estraneo alla storia italiana (la liberazione di Auschwitz), può indurre a guardare allo sterminio degli ebrei come a cosa che poco ci riguardi; alle stesse modalità spesso ripetitive con cui ogni anno rischia di manifestarsi la condanna dello sterminio e il monito secondo il quale chi non conosce il passato sarebbe condannato a ripeterlo. Condanne e moniti che danno per scontato che sia sufficiente l’esecrazione del male per allontanarlo, ma non v’è alcuna prova che sia così.

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