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Inno al progresso

Ecco cosa c'entrano i trattori con l'alfabetizzazione. Spunti per il futuro

Antonio Pascale

Braccia rubate all’agricoltura, e per fortuna. Lo sviluppo della macchine agricole ha permesso di liberare tempo e capitale umano: così per tanti figli di agricoltori sono aumentate le possibilità di istruirsi

Molte persone amano le automobili (compreso il sottoscritto, anche se giro in monopattino) ma ignorano la bellezza delle macchine agricole, come il trattore ad esempio. Uno pensa che il trattore sia roba da contadini, un po’ bifolchi, di quelli che guidano carri armati senza nessuna raffinatezza, eppure questa macchina entra a pieno titolo tra le invenzioni che hanno cambiato l’agricoltura e dunque il mondo.  Lo so, abbiamo l’abitudine di raccontare la storia millenaria usando vari strumenti: quelli storici, economici, antropologici, appartenenti a discipline considerate nobili. Insomma, già non siamo abituati all’aurea mediocritas, pensate se per descrivere la storia del mondo ci occupiamo di cose terra terra come il trattore: il gentile lettore ci lascia. E invece, per cominciare, non alle Muse va fatta la preghiera, come si faceva nei proemi del tempo che fu, ma ai gentili lettori. Svegliatevi! Uscite dalla bolla della cultura umanista, tenete lontano gli oscuri e mai sopiti sofisti. Concentratevi su un dato: molti dei nostri nonni contadini hanno imparato a leggere grazie al trattore, sì, quella macchina per bifolchi. E magari, alfabetizzati, ci hanno trasmesso un po’ d’amore per la lettura. Quindi rispettiamo il trattore, motore dell’alfabetizzazione al pari del maestro Manzi.

 

Certo, siccome ho parecchi casi in famiglia di alfabetizzati grazie al trattore, magari pensate che sia vittima di un bias. Mio nonno (paterno) Antonio, contadino povero meridionale, si è sposato solo quando in famiglia sono riusciti a comprarsi lo spandiletame. Altra macchina poco conosciuta e disprezzata, eppure limitava il contatto ancestrale tra l’uomo e il letame. Sapete com’è la vita? Altro che Sartre ed esistenzialismo, è un vero paradosso. La nostra atmosfera è ricca di azoto, quasi l’82 per cento, ma purtroppo l’antipatica natura non ha progettato piante che riescono a sfruttare l’azoto atmosferico. Niente, bisogna aspettare che i fulmini rompano i legami della molecola d’azoto e poi le piogge facciamo precipitare gli ossidi di azoto nel terreno. Qui si trasformano in nitrati e finalmente possono venire assorbiti dalle piante. Quindi? Quindi per millenni abbiamo vissuto nella scarsa disponibilità di azoto, un bel problema, perché l’azoto fa crescere le piante. Abbiamo cercato di fertilizzare il terreno con il letame. Mio nonno assomigliava a quel pastore errante che, come la luna, faceva sempre lo stesso giro, si alzava, lavorava, usava il letame e non sperava niente fino al mattino successivo: nemmeno di sposarsi, perché a forza di utilizzare letame le mani puzzavano di stallatico. “Quello fatica nella stalla”. Le donne non si avvicinavano. Quando è arrivato lo spandiletame, evviva. Limitando il contatto con il letame mio nonno ha trovato una sposa. Mio padre invece ha studiato perché in azienda è arrivato il trattore. Il trattore lavorava per lui, quindi poteva andare a scuola, perché, sembra strano, ma prima del trattore mio padre doveva lavorare per far crescere le piante e donare alla società l’energia necessaria per vivere e riprodursi. Dite che un caso personale non fa statistica. Avete ragione, le statistiche sono fondamentali, altrimenti uno che guarda, che so, Keith Richards, potrebbe pensare che l’eroina faccia bene e allunghi la vita. Ma non è così, e lo sappiamo perché abbiamo le statistiche. 

 

E allora, a proposito di statistiche, cominciamo da un volantino pubblicitario: “Lasciate a scuola il vostro ragazzo: spesso l’urgenza dei lavori primaverili spinge le famiglie a tenere a casa da scuola i ragazzi per diversi mesi. Magari vi sembrerà una scelta necessaria ma non è corretta nei loro confronti. Privandoli dell’educazione venite a imporgli un handicap che li segnerà nel loro cammino. In quest’epoca, l’istruzione sta diventando sempre più essenziale per il successo e il prestigio in ogni strada della vita, compresa l’agricoltura. Usando un trattore a cherosene, un uomo può fare da solo più lavoro di quello che riuscirebbe a fare adoperando dei cavalli e avvalendosi dell’aiuto di un ragazzo laborioso. Se oggi investite nell’acquisto di un trattore il vostro ragazzo potrà frequentare la scuola senza interruzione, e i lavori primaverili non risentiranno della sua assenza. Lasciate a scuola il vostro ragazzo e fate prendere il suo posto nei campi a un trattore: sono due investimenti di cui non vi dimenticherete mai”.  Quello che avete letto è il volantino pubblicitario di un trattore Case, data 1921. D’accordo, è pubblicità, tuttavia, per convincere i contadini ad acquistare un trattore, i venditori ponevano l’accento sull’importanza del capitale umano. Se la forza lavoro nelle campagne si riduce, aumenta la possibilità per i figli degli agricoltori di andare a scuola. Così è stato, per questo il trattore andrebbe celebrato nei corsi di scrittura e nei saloni dell’editoria. Come azzardavamo all’inizio, il generoso pubblico che fa la fila per ascoltare i letterati è una declinazione del trattore. 

 

Di recente l’Economist con un bel saggio (che qui citiamo) ha messo in fila alcuni dati che ci fanno capire la forza del trattore capace di produrre un notevole aumento del pil, dell’8 per cento, addirittura. Lo stesso aumento che secondo alcuni potrebbe portare oggi l’intelligenza artificiale. Chi ha inventato il trattore è ancora oggetto di contesa: forse Richard Trevithick, un ingegnere britannico, nel 1812. O forse John Froelich, che lavorò in South Dakota all’inizio degli anni Novanta dell’Ottocento. Sicuro è che la parola “trattore” era poco utilizzata fino all’inizio del XX secolo e c’è voluto tempo sia per coniare la parola ma soprattutto per sostituire i cavalli e i muli con le macchine. Strano? Non tanto, le transizioni energetiche sono fisiologicamente lente, purtroppo. Gli studi di Vaclav Smil dimostrano che ancora nei primi decenni del 1800, quando Napoleone scorrazzava in Europa, l’energia meccanica che muoveva quel miliardo scarso di persone al mondo era fondata al 90 per cento sui muscoli, tra quelli umani (la maggioranza) e quelli animali. Ciò vuol dire che cavalli e muli trainavano ogni giorno una serie impressionante di attrezzi agricoli, dagli aratri alle mietitrici. Un’energia inefficace, si trattava di energia chimica (derivata dalle calorie) trasformata in energia meccanica. Dunque, dovevamo mangiare per lavorare, non solo noi, pure i cavalli. E siccome mangiavano poco, lavoravano la terra in tanti per produrre poco. Risultato? La resa media dei cereali è rimasta invariata per millenni, da un ettaro di terreno si otteneva una tonnellata di cereali, media ancora oggi ottenuta in alcuni paesi africani che non hanno a disposizione concimi, trattori, nemmeno il miglioramento genetico. 

 

Proprio perché le transizioni energetiche sono lentissime il trattore ha avuto sì un impatto immenso sulla vita delle persone, ma non ha mica soppiantato gli animali all’improvviso. Anzi, per gran parte della prima metà del XX secolo, i cambiamenti portati dal trattore non furono molto profondi. Nel 1920, nonostante le recensioni entusiastiche del Prairie Farmer (un antico settimanale agricolo, fondato nel 1841) solo il 4 per cento delle aziende agricole americane possedeva un trattore. Ancora nel 1940 i proprietari di trattori erano appena il 23 per cento – molti uomini d’affari che si erano riversati nel settore della produzione di trattori furono costretti a chiudere. Insomma, il cavallo resistette per un tempo sorprendentemente lungo. Per gran parte degli anni 30 la capacità produttiva totale degli equini nelle fattorie americane superava ancora quella dei trattori.

Nel 1945 un quarto delle aziende agricole presentava sia animali da tiro sia trattori. La lenta diffusione del trattore produsse lenti incrementi di produttività. L’Economist riporta alcuni numeri: “I dati sono discontinui, ma nella prima metà del XX secolo la crescita annuale della produttività in agricoltura probabilmente non ha mai superato il 3 per cento. L’effetto dell’8 per cento del pil è reale, ma si è fatto sentire solo nel corso di decenni”.  Ma se i trattori erano buoni, perché i contadini non li acquistavano? Erano sotto sotto dei luddisti che resistevano alle nuove tecnologie per principio? Qualche lobby anti-trattori c’era. Prendi la Horse Association of America, erano perentori: se acquistate un solo trattore vi indebiterete e sarete travolti dalle cambiali. Questo fino a un certo punto però, perché negli States, negli anni 10 e 20, molti agricoltori erano senza trattore ma l’automobile la compravano eccome. 

Insomma, perché questa lentezza? Il più grande enigma della storia dell’economia, così si dice. Gli storici segnalano alcune spiegazioni. Vediamo la prima: i vecchi trattori del 1900 erano dei colossi, utili per l’aratura e poche altre cose, ma non per coltivare i campi. Molti dei primi modelli avevano ruote in metallo, non pneumatici, quindi rimanevano bloccati nel fango. Poi erano costosi. Tra il 1910 e il 1940, tuttavia, le macchine divennero più versatili e più piccole, rendendole adatte a una gamma più ampia di compiti. Seconda causa: I salari. La tecnologia equina era ad alta intensità di manodopera: i cavalli necessitano di alimentazione, pulizia e cure mediche, anche quando non lavorano. All’inizio degli anni 30, durante la Depressione, i salari reali medi nel settore agricolo diminuirono. Quindi per molti agricoltori era diventato più facile assumere qualcuno per gestire un cavallo piuttosto che spendere una fortuna per un trattore. Ma con la Seconda guerra mondiale la carenza di manodopera aumentò e di conseguenza salirono velocemente i salari reali. All’improvviso, le macchine sembravano un affare migliore. Il terzo fattore è stata la ristrutturazione aziendale. I trattori funzionavano meglio nelle grandi aziende agricole: economia di scala. 

 

Alla fine, il trattore ha cambiato il mondo agricolo (insieme alla chimica e al miglioramento genetico), quindi possiamo fare un bilancio, nel bene e nel male. Il bene: grazie al trattore una data quantità di terreno poteva sfamare più persone. La maggiore efficienza offerta dai trattori ha consentito agli agricoltori di espandere le proprie attività, cioè gestire più terreni con lo stesso numero di lavoratori. Il trattore ridusse anche il numero di lavoratori necessari per produrre cibo di circa 2 milioni, ovvero del 25 per cento dell’occupazione agricola, e aumentò le dimensioni delle aziende agricole: nel 1960 la fattoria americana media era di 23 ettari più grande di quanto sarebbe stata senza i trattori. Il male: in America, per esempio, i trattori hanno contribuito a creare le grandi tempeste di polvere, raccontate da Steinbeck, negli anni 30. Immaginate un’aratura sbagliata non su un piccolo appezzamento ma sulle Grandi pianure: molti terreni persero l’umidità naturale e si crearono condizioni di siccità in vaste aree: più terreno era secco, più nuvole di polvere si alzavano. Poi molte aziende agricole iniziarono a crescere di dimensioni, quindi quelle a conduzione familiare più piccole cedettero il posto a quelle più grandi e meccanizzate – e questo per alcuni è un male. Comunque, pian piano furono introdotte nuove tecniche, meno invasive e più sostenibili e le grandi tempeste di polvere scomparvero e alla fine, fatti i conti, in un articolo pubblicato nel 2012, gli economisti Richard Steckel e William White hanno sostenuto che verso la metà degli anni 50 la meccanizzazione agricola aveva aumentato il pil americano di circa l’8 per cento. 

 

Lavorare in generale stanca, anche lavorare il terreno, ovvio. Così il suolo mondiale dopo secoli di arature meccaniche, sbagliate e pesanti, sta perdendo lo strato arabile. Il letame non contiene abbastanza macroelementi per concimare per 8 miliardi di persone (fra poco 10), però è un ottimo ammendante e arricchisce il suolo, e di letame nei suoli non ce ne abbiamo. Oggi sono in via di perfezionamento altre tecniche per contenere lo spreco, poche o blande lavorazioni (più lavoriamo, più CO2 viene emessa), una maggiore cura del suolo, con micorrize e batteri. Si sta per esempio tentando di modificare quei batteri che entrano in simbiosi con le leguminose (e che sintetizzano l’azoto atmosferico) affinché possano associarsi anche ad altre colture (gli studi di Roberto Defez sono all’avanguardia). Ancora: usare batteri o altre sostanze per rendere le piante più resistenti alla siccità. Sono nuove tecniche che richiedono conoscenze integrate e sperimentazioni costanti e tanta curiosità e gusto per l’innovazione. Poi dobbiamo essere pronti, e la storia del trattore dovrebbe essere un monito: non è detto che le nuove tecniche si impongano velocemente e il pil salga dell’8 per cento da un giorno all’altro,  ma conviene sfruttare al meglio la nostra intelligenza – e farci aiutare da quella artificiale che poi è intelligenza collettiva potenziata – per offrire ai nostri passi millenari un nuovo, comodo e più sostenibile appiglio, così che con i piedi ben poggiati per terra possiamo alzare lo sguardo verso il cielo e capire da dove siamo partiti e se e dove è il caso di arrivare.