2024, bavaglio alle risate

Saverio Raimondo

Battute sui ricchi? Discriminano una minoranza. Il cinema muto: e i non vedenti? È il politically correct del futuro (forse)

L’umorismo sta cambiando. E’ sempre cambiato, del resto. Registra i mutamenti, se ne fa interprete e specchio deformante. Di solito però con meno senso di colpa rispetto a oggi: un tempo, se una cosa non faceva più ridere si smetteva di riderne, punto. E la cosa finiva lì. Ora invece si condanna retroattivamente quella risata, anche se ormai non se ne sente più nemmeno l’eco. 

  
Il risultato, per alcuni – i più suggestionabili fra noi – è stato conferire un certo peso alla risata, una sorta di responsabilizzazione lì dove invece il meccanismo funziona solo se si sganciano i freni inibitori; e così in molti hanno iniziato a non divertirsi più, o a temere di divertirsi per paura un giorno di dover rispondere di fronte a una giuria o a un garante o a una commissione interna di un “ahahah”. 

 

Emergerà che il solletico era una pratica diffusa solo presso una certa popolazione del Borneo: gravissima appropriazione culturale

     
Questo andazzo “politicamente corretto” è in corso già da qualche anno; e non si vede perché il prossimo, il 2024, dovrebbe fare eccezione. E’ pure bisestile.
E infatti, è facile prevedere il trend (non) umoristico del 2024. In primis, nel 2024 non si potrà più ridere del solletico. Il solletico infatti entrerà a tutti gli effetti fra le molestie, e non solo se vi fanno il solletico al sedere. O ci si trova di fronte a un esplicito consenso da parte della persona solleticata, o fare “ghiri ghiri ghiri” sotto le ascelle o alle piante dei piedi sarà considerato una molestia senza mezzi termini né tentennamenti. (Fare il solletico alle tette invece era già molestia sessuale da un bel po’, non ci provate a fare i finti tonti). Inoltre, in caso di solletico ai bambini, si rischia la condanna per pedofilia – se non da parte della giustizia ordinaria, sicuramente da parte dell’opinione pubblica la quale, contrariamente a quella dei tribunali, garantisce velocità di giudizio e certezza della pena. Inoltre, emergerà il fatto che originariamente il solletico era una pratica diffusa solo presso una certa popolazione del Borneo; quindi, al di fuori di quella ristretta cerchia etnico-geografica, fare il solletico è una gravissima appropriazione culturale, che manca di rispetto per la storia e la cultura di un popolo. Il fatto poi che presso quella tribù il solletico sia nato con il semplice scopo di fare solletico alle persone, così, per ridere, non deve distrarci dal nostro necessario intervento culturale e di rispetto antropologico per le culture altrui. Chi riceverà solletico è tenuto a denunciare; nel frattempo dovrà trattenersi dal ridere come invece faceva di solito, con tutti quei gridolini e quei sghignazzanti “basta no dai basta pietà!”, anche al costo di diventare tutto rosso: chi ride del solletico si rende complice del suo stesso carnefice e manca di rispetto a tutte le altre vittime di solletico (che sono tantissime). 

 

I peti, da sempre ritenuti causa di risate sicure. Ma gli stitici faranno notare come non ci sia niente da ridere in una cosa che causa tanta sofferenza

    

Universalmente, l’umorismo scatologico ha sempre unito le culture e le età, attraversato i continenti e le generazioni: tutti i bambini ridono per “cacca pipì”, e anche gli adulti hanno le loro “storie di m*rd*” con le quali continuare a divertirsi nel più infantile ma anche immediato dei modi. Per non parlare dei peti, da sempre ritenuti causa di risate sicure, inevitabili, facili. Questo però fino al 2024, quando gli stitici faranno notare come non ci sia niente da ridere in una cosa che causa così tanta sofferenza nel mondo, dal mal di pancia alle purghe; così come il malato in dialisi lo farà notare rispetto alla pipì. Ci saranno scuse collettive, un grande atto di mortificazione globale; e grazie a questa nuova sensibilità per i nostri escrementi, si smetterà di ridere per la gente che colta da dissenteria fulminante si mette a correre dietro una siepe o un riparo di fortuna, o di chi si contorce con la vescica piena fuori dalla porta di un bagno occupato, o di un silenzio monastico e spirituale improvvisamente interrotto da una rumorosissima emissione di gas intestinali. Di tutte queste cose dal prossimo anno non si potrà più ridere, così come non si potrà più ridere nemmeno delle boccacce, delle smorfie, delle linguacce, e più in generale della facce buffe, e ancora più in generale delle gag del cinema muto: è umorismo non inclusivo, perché esclude dal divertimento i non vedenti. Charlie Chaplin e Buster Keaton cadranno vittime della cancel culture, rei di aver fatto ridere solo le persone che godono del privilegio della vista. Ovviamente lo stesso discorso vale anche per le pernacchie: basta ridere al suono emesso da una persona che soffia con la lingua fuori serrata in mezzo alle labbra, perché ciò discrimina i non udenti. E poco male se un simile imperativo morale e culturale susciterà la più sonora delle pernacchie: la cultura woke non tollererà più simili ingiustizie. 

 

Nel 2024 non si riderà più nemmeno dei giochi di parole. Prendiamo questa tipica “Risata a denti stretti” da Settimana Enigmistica: “Posso chiamarti più tardi?” “Preferirei essere chiamata Carolina”. Cosa ci sarebbe da ridere? In tempo di fluidità, ciascuno ha il diritto di farsi chiamare come crede. Più in generale, fra parole con l’asterisco o la schwa e dizionari sempre più individuali e individualistici, il gioco di parole non farà più ridere per il semplice fatto che nessuna parola sarà più un gioco, semmai terreno di scontro identitario. 

  

Una delle prime risate documentate, se non la prima risata in assoluto della Storia, è quella della serva di Tracia. Racconta Platone che la giovinetta rise di Talete nel vederlo cadere in un pozzo, distratto com’era a guardare e studiare il cielo e le stelle tanto da non vedere dove stesse mettendo i piedi. Da allora, l’umanità non ha mai più smesso di ridere di cadute rovinose, capitomboli giù per una collina, ruzzoloni lungo le scale, tonfi sedere a terra, schianti contro una porta a vetri chiusa o dentro una piscina vuota, inciampi in tappeti o gradini, scivoloni sul ghiaccio o sulla cera da pavimenti appena passata. Dal 2024, simili risate verranno condannate come espressioni di abilismo nei confronti di tutte le persone che perdono l’equilibrio e cascano per terra rompendosi il coccige, ma soprattutto come crudeli offese nei confronti di tutti coloro che in simili incidenti hanno perso un parente o l’uso delle gambe, o anche solo nei confronti dei ricoverati in traumatologia, ortopedia, maxillo-facciale; per non parlare del rispetto per le vittime della strada e degli incidenti domestici, entrambe due tragiche categorie che nel corso degli anni hanno alimentato gli archivi video di “Paperissima”. Il 2024 segnerà una svolta nella memoria dei caduti: la categoria diverrà infatti inclusiva, e comprenderà non più soltanto i caduti in combattimento, ma anche i caduti dal letto, dalla sedia, dalla bici, dal seggiolone. Ridere di chi scivola su una buccia di banana diverrà cringe, terribilmente imbarazzante e sconveniente: non solo chi ride di un simile volo gambe all’aria non dimostra empatia per il povero malcapitato che scivola sulla buccia tropicale, ma soprattutto la gag verrà tacciata di razzismo. Che ci fa infatti una buccia di banana su una strada occidentale, sotto la suola di una scarpa in cuoio? Si tratta chiaramente di una gag colonialista. Quanta gente è stata sfruttata, se non schiavizzata, per far arrivare quella banana a essere sbucciata proprio lì, dove quella povera vittima del capitalismo finirà con il rompersi l’osso sacro nel più umiliante dei modi, con un tonfo sordo schiena a terra? La gag della buccia di banana è quanto di più politicamente scorretto, e chi ride di una cosa simile è una persona spregevole, priva della necessaria sensibilità per vivere nel mondo contemporaneo, dove ci vuole contrito rispetto anche per chi inciampa nel potassio. 

  

Le torte in faccia: e l’intolleranza al lattosio? E i diabetici? Per non parlare dello spreco di cibo: nel mondo c’è gente che muore di fame

  
Basta anche con le torte in faccia: non si potrà più ridere di una gag che non solo vìola lo spazio personale e la dignità della persona, ma soprattutto non tiene conto dell’intolleranza al lattosio e di quelle che possono essere le intolleranze o allergie alimentari, oggi più sacre di qualunque credo o confessione religiosa. La celebre gag della torta in faccia si configura dunque non solo come umiliante ma anche pericolosa per la salute altrui; e, in caso di persone affette da diabete, persino mortale. Per non parlare dello spreco di cibo: nel mondo c’è gente che muore di fame, e noi ci divertiamo a tirare torte in faccia alle persone? Chi ride di un simile gesto, ride di 24 mila persone che ogni giorno nel mondo muoiono perché non hanno di che nutrirsi, non hanno una torta né una faccia sporca di crema da leccare; non c’è risata più disumana di questa. Nel caso in cui la torta in faccia sia al cioccolato, è pure peggio perché si tratta di “blackface” e quindi è anche una gag razzista. Inoltre, nel 2024 la torta in faccia verrà condannata come tipica espressione del patriarcato. (Cosa c’entra il patriarcato con le torte in faccia? Il patriarcato c’entra sempre, in tutto. Quando ti spiaccicano una torta in faccia, è colpa del patriarcato. Le torte in faccia sono fatte di pandispagna, panna e patriarcato). 

  

Di certo, nel 2024 non sarà più concesso ridere della gente ricca. Questo perché non si ride delle minoranze; e oggi come oggi i ricchi sono la minoranza più minoranza che c’è al mondo (basta dare un’occhiata alla classifica Forbes delle persone più ricche al mondo: ogni anno è sempre più sottile, quella di quest’anno è talmente esigua che è stata stampata su antimateria). I ricchi sono solo lo 0,9 per cento della popolazione mondiale, meno di sessanta milioni di persone; i neri sono miliardi, e persino gli omosessuali sono più dei ricchi – solo per citare due celebri minoranze sulle quali, giustamente, è fatto divieto lo scherno, il ridacchio, la presa per i fondelli. Oggi nel mondo i ricchi sono la vera minoranza; e come tale vanno rispettati e difesi da un umorismo che si bulla di loro e del loro caviale, come se le loro feste private – note anche come “Reddito Pride” – fossero meno nobili di un qualsiasi carrozzone a una manifestazione arcobaleno (di solito anche i look sono dettati dalla stessa sobria austerità) o come se fosse giusto giudicare le persone dal colore della pelle del cinturino del Rolex. Basta allora con i doppi sensi sulla carta di credito, le allusioni sulle dimensioni del conto, o luoghi comuni come “i ricchi hanno i soldi che gli escono dal c*l*”; basta anche con chi si veste al di sopra delle proprie possibilità economiche, ostentando uno status che non ha e scimmiottando consumi ad alto reddito, come i ristoranti stellati o gli hotel di lusso: spacciarsi per ricchi è appropriazione culturale. Serie come “Succession” e “The White Lotus” saranno ritenute imbarazzanti: usciranno fuori produzione, e i vecchi episodi ormai in circolazione verranno preceduti da cartelli di scuse, che avviseranno dei contenuti offensivi basati su stereotipi. Non si faranno più battute sui nomi dei figli di Elon Musk (più simili a un codice fiscale che a una dicitura all’anagrafe), né sui bunker di Mark Zuckerberg, né sugli alimenti pagati da Bezos all’ex moglie o sull’eredità di Berlusconi: chi ride di certe cose è solo un ignorante della cultura dei ricchi, e dovrebbe solo vergognarsi. Il privilegio è una condizione minoritaria, e come tale va difeso e tutelato dallo scherno della maggioranza che si crede superiore.

   

Facciamo prima a dire di cosa ancora si potrà ridere. Ma ovvio: di tutti questi divieti! Più una cosa sarà proibita, più sarà divertente

  

In un simile panorama così torvo e privo di allegria, facciamo prima a dire di cosa ancora si potrà ridere nel 2024. Ma ovvio: di tutti questi divieti! Più una cosa sarà proibita, più sarà divertente; più ci diranno di smettere di ridere, più a noi scapperà da ridere. E’ sempre stato così e così sarà per sempre: è così che funzioniamo, è la natura umana. Ed è per questo che nel 2024 rideremo di gusto anche di chi continuerà a ripetere “non si può più dire niente”: se davvero c’è chi si fa intimidire da censure così ridicole, si merita una risata in faccia. Oltre al fatto che di solito chi dice che “non si può più dire niente” non ha niente da dire, non a caso ripete a pappagallo una frase fatta per sentito dire. Chi ha qualcosa da dire trova sempre il modo di dirla. E se davvero la risata sarà sempre più proibita, sempre più vietata, sempre più una perversione, sarà divertente trovarsi in degli “speakeasy” – anzi, degli “laugh-easy” – a ridere di nascosto per battute di contrabbando. 
2024, divertiamoci!