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Il Pd in calo fra i daltonici? L'armocromia non è un pranzo di gala

Saverio Raimondo

“Con il senno di poi, forse avrei puntato di più sul rosa confetto” è l’unica concessione all’autocritica che fa la segretaria. Conte risponde con un secco completo gessato scuro (ma la pochette damascata apre a convergenze future), i riformisti invocano colori pastello

Con questo color ciclamino non vinceremo mai!”: parole dure e inequivocabili quelle che si sono sollevate l’altro giorno durante un’interminabile e drammatica riunione di segreteria del Pd, all’indomani della sconfitta alle elezioni comunali. Sotto accusa la linea politica finora adottata da Elly Schlein e dalla sua segreteria, cioè il magenta. Il verdetto delle urne è stato netto: il fucsia – come lo chiamano le voci critiche all’interno del partito – non ha funzionato, e risulta lontano dal paese reale dove dominano invece il nero, il beige e il grigio antracite. “Eppure con l’inflazione e i rincari i dati economici ci dicono che la gente è al verde, e il magenta è complementare”, provano a giustificare i più stretti collaboratori della segretaria. L’analisi del voto mostra che Schlein non convince soprattutto fra le elettrici donne: “Con il senno di poi, forse avrei puntato di più sul rosa confetto” è l’unica concessione all’autocritica che fa la segretaria.

Ma per il resto, Schlein insiste: “L’armocromia non è un pranzo di gala, anche perché se lo fosse rischieremmo di macchiarci e il lavaggio dei colorati è più complicato dei bianchi, può essere fatto al massimo fino a 40 gradi altrimenti si rischia di scolorire i capi”; e rilancia sul tema delle alleanze: abbinamenti con l’arancio, il giallo, il blu di Prussia. Appello al quale Giuseppe Conte risponde con un secco completo gessato scuro (rispetto al quale però alcuni analisti hanno voluto vedere nella pochette damascata un’apertura a convergenze future); difficile invece sarà far passare il vinaccia o il malva nelle file del Terzo polo, ma si lavora per un compromesso – ad esempio il pervinca, che piace ai renziani e Calenda non è contrario.

L’ala riformista del Pd è in subbuglio: va bene combattere per la tutela dei diritti e per promuovere la pace, ma utilizzare la bandiera arcobaleno come palette di colori di riferimento, e soprattutto come guida per gli accostamenti cromatici, rischia di rompere i delicati equilibri che tengono insieme le anime del partito e di perdere così molti elettori, specie fra i daltonici. “Il Pd adesso è troppo sbilanciato a sinistra”, si sfoga in privato una delle voci più critiche, che chiede però di restare anonima. “Il messaggio che sta passando è un ritorno del rosso; per giunta Rosso Valentino, che offre il fianco a chi ci accusa di essere radical chic. Gli elettori moderati invece amano colori più tenui – il celeste, il tortora – e insistere con tinte così intense consegna il paese alle destre”. L’ala riformista del Pd chiede alla Schlein un cambio di rotta: bianco per l’estate, e colori pastello fino alle europee – al massimo l’ocra.

Ma l’armocromista della segretaria minaccia di lasciare il partito; se deve esserci un cambiamento di palette, ritiene piuttosto che si vada verso colori fluo e fantasie optical. Schlein prova a mediare: frena sulle paillettes, ma apre al maculato. Intanto però l’ottanio è un caso: la maggior parte degli iscritti al partito non sanno che colore sia, e non hanno idea di come abbinarlo. Mentre alcuni amministratori locali del nord est – civici ma di area – propongono il verde salvia a livello nazionale. Avanza così ogni giorno di più la fronda nudista.

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