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saverio ma giusto

Di cosa avranno parlato Meloni e il Pontefice? Di un papato per l'Italia, ovvio

Saverio Raimondo

L’abito era un simbolo, un chiaro indizio sui contenuti di quanto si sono detti in privato i due “bianco vestiti”: una riforma costituzionale che possa veramente dare stabilità al paese. Altro che premierato

A nessuno sarà sfuggito il fatto che nell’incontro con Papa Francesco della scorsa settimana, Giorgia Meloni era vestita di bianco: un gesto che è ben più di uno strappo al protocollo ai limiti della blasfemia (in molti si sono chiesti se si sia trattato di sciatteria o dolo, come se l’una non comportasse l’altro). L’abito infatti era un simbolo, un chiaro indizio sui contenuti di quanto si sono detti in privato i due “bianco vestiti”. Riservatamente, Meloni e il Papa non avrebbero parlato né di migranti né di natalità; bensì di riforme. Altro che presidenzialismo o premierato: il vero obbiettivo riformista di Meloni è portare anche in Italia il papato, esattamente come in Vaticano; e l’abito bianco indossato da Giorgia simboleggiava la determinazione con la quale Meloni intende concretamente andare fino in fondo a questo progetto di riforma dello stato. Il motivo è chiaro: la stabilità che solo il Vaticano, pur con le sue tensioni interne, sembra avere oggi in occidente. Il progetto prevede l’inserimento dell’infallibilità del premier in Costituzione; e da lì ridisegnare l’arco istituzionale e il sistema di voto.

L’idea, allo studio dei costituzionalisti e dei consiglieri giuridici voluti da Meloni al suo fianco, è quella di trasformare le elezioni in un conclave. Il primo ostacolo è logistico più che giuridico: bisogna trovare una stanza abbastanza grande da chiuderci dentro sessanta milioni di aventi diritto di voto – vero è che considerando l’astensionismo basterebbe una stanza più piccola; ma la capienza deve rispondere ai dettami costituzionali o si rischierebbe lo strappo con il Quirinale. Inoltre c’è una questione di permessi da parte dei vigili del fuoco riguardo l’accensione del rogo delle schede, rito necessario alla fumata – nera e bianca – per comunicare all’esterno l’avvenuta o mancata elezione del premier; al riguardo andrebbero riviste diverse norme relative all’ordine pubblico e l’agibilità, ma la necessità di una canna fumaria è inderogabile. Sul dossier starebbe lavorando attivamente il ministro Salvini (motivo di preoccupazione per Meloni): compito di Salvini infatti è individuare il sito adatto, o costruirne uno ad hoc -da qui la necessità di un dialogo costruttivo con l’Ue per ottenere i soldi del Pnrr necessari alla costruzione di una struttura rispondente a queste necessità pubbliche e istituzionali: una via di mezzo fra uno stadio e un aeroporto, solo che più grande.

Per far fronte all’infattibilità, è allo studio una riduzione degli elettori: proprio come nel conclave, dove votano solo i cardinali, il modello italiano prevederebbe invece il superamento dell’astensione sessuale, premiando il suo contrario. Voterebbe cioè solo chi ha figliato – l’obbiettivo politico del governo è anche quello di usare il voto come incentivo alla natalità. Da qui la necessità per Meloni di trovare una sponda non solo con le opposizioni da questa parte del Tevere, ma anche con il Pontefice; il quale, data la convergenza sul tema della natalità, potrebbe approvare quanto sopra, ma – pur non avendo Bergoglio pregiudizi in merito – deve, “per la tenuta della Chiesa”, tenere il punto sul genere maschile: il premier eletto con il modello vaticano deve necessariamente essere un uomo. Meloni però non ha problemi a concedere quanto richiesto: l’appellativo “il” presidente del Consiglio era solo l’inizio, ora Meloni farà diramare una nota da Palazzo Chigi per essere chiamata anche Giorgio. Ma il dialogo sulle riforme è solo all’inizio, e nel frattempo il completo bianco di Meloni va in tintoria.

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