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Dio salvi i Windsor

La monarchia non ammette mezze misure: il fasto è indispensabile

Alberto Mattioli

Viva il Re, la corona, la carrozza dorata, l’ermellino: comunque vada, la tanto attesa cerimonia di Carlo sarà un successo. E viva pure le brioche gettate alla folla plaudente

Comunque vada sarà un successo, anche perché i Windsor sono rimasti l’ultima e unica istituzione a saper gestire cerimonie fastose con la solenne nonchalance di chi non ha mai fatto altro. Carlo III, in fin dei conti, ci si allena da quando è nato. Il rischio, semmai, è quello degli eventi di cui si è parlato tanto che, quando finalmente si verificano, non interessano più. Però ammettiamolo che oggi, monarchici repubblicani e agnostici, saremo tutti davanti alla tivù per l’incoronazione. Ovviamente sintonizzata sulla Bbc per evitare di ascoltare i commenti di quelle italiane. E tuttavia la vigilia è stata caratterizzata da un retrogusto sgradevolmente contemporaneo, un certo qual perbenismo woke che spunta fra le pieghe degli annunci e delle anticipazioni. E dunque si è saputo che, rispetto all’incoronazione di Elisabetta II, la lunghezza della cerimonia sarà ridotta come il numero degli invitati, e in ogni caso ci saranno meno aristocratici e più sudditi meritevoli per benemerenze caritatevoli o appartenenze a minoranze disagiate. La cerimonia sarà più ecumenica, e Camilla si metterà in testa una corona di riserva per non irritare gli indiani derubati del Koh-i-Noor, diamante colonialista.

 

Speriamo che ci facciano almeno ascoltare Zadok the Priest, chissà mai che non si offendano e pretendano scuse i filistei. Perfino il sacro crisma con il quale Carlo diventerà l’Unto del Signore (al riparo delle telecamere, come successe già con sua madre) sarà, annunciano, vegano. Un pessimo segnale l’hanno dato nei giorni scorsi William e Kate, andando a fare una visita in metropolitana, come dei colleghi scandinavi qualsiasi. Di questo passo, c’è davvero il rischio di vedere qualche Royal in bicicletta invece che a cavallo con i pennacchi. E infatti la “princess royal” Anna, che in fin dei conti può parlare anche perché è la Windsor che per la Ditta si è sempre data da fare di più, ha messo in guardia da un eccesso di “semplificazione” della monarchia. Come diceva Norman Hartnell, indimenticato sarto di sua madre: “Io odio la semplicità: è la negazione di tutto ciò che è bello”. Per carità, la corona deve anche stare al passo con i tempi, pure Elisabetta l’aveva capito e, con giudizio, applicato, e che la monarchia sia il freno ai cambiamenti sociali e politici lo crede soltanto chi non ne conosce la storia, almeno nel Regno Unito (che poi non sia nemmeno l’acceleratore, è ovvio; diciamo che è la frizione, che permette di cambiare marcia quando occorre, e senza urti).

 

Però la monarchia non ammette mezze misure: o ci si crede oppure no. Non c’è alcuna ragione plausibile perché 65 milioni di abitanti del Regno e molti di più del Commonwealth debbano non diciamo obbedienza, non sono più i tempi, ma almeno rispetto a uno di loro solo perché è nato da una certa mamma. La monarchia non è razionale, non si spiega: credo quia absurdum. E allora tutto il fasto di cui si circonda diventa indispensabile. Mai come nel caso di un Re la forma è sostanza. Tanto più che le “tradizioni” della corona britannica sono in realtà del tutto inventate e risalgono, se va bene, all’Ottocento. L’aristocrazia whig aveva sempre disprezzato gli Hannover, cioè l’attuale dinastia, considerati dei crucchi zotici che bisognava tenersi perché c’era bisogno di un Re protestante, ma che non era per nulla chic frequentare. Il mitico William Lamb, primo visconte Melbourne, fu lì lì per rifiutare il premierato perché considerava “una dannata seccatura” avere a che fare con Guglielmo IV, il predecessore di Vittoria. La pompa, allora, fu concepita per la working class, abbagliata dallo sberluccichìo degli ori regali; e si sa che le sciampiste non leggono Marx ma i settimanali cheap con i pettegolezzi sui royal. La nonna dell’attuale sovrano poteva serenamente andare in visita ai quartieri di Londra bombardati dai tedeschi coperta di perle, e i senzatetto l’applaudivano pure. Noialtri ordinari il Re lo vogliamo così, con la corona in testa, la carrozza dorata e l’ermellino, mentre getta brioche alla folla plaudente (beh, non esageriamo). Elisabetta II, questo, lo sapeva benissimo. Ma è stata anche l’ultima monarca davvero monarchica: non sappiamo se pensasse di essere stata scelta da Dio per regnare, ma si è sempre comportata come se ci credesse davvero. L’aura, una volta persa, non torna più. E francamente, dopo quelle del Vaticano, rinunciare anche alle liturgie dei Windsor dispiacerebbe. Dio salvi il Re, va bene, ma anche la Monarchia: soprattutto da sé stessa.

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