Verso l'incoronazione

Tutti da Re Carlo il sabato sera

Michele Masneri

L’aristocrazia ovunque è sottoposta a sostituzione etnica. Perché si sa che la monarchia è un lavoro che i nobili non vogliono più fare, altro che grandi dimissioni.

Londra. Nella metropoli a dire il vero parecchio sonnecchiante e non moltissimo “excited” per l’incoronazione del Re più anziano che si sia mai visto sul trono di San Giacomo, va in scena il trionfo della borghesia. Non ci sono solo le teste semicoronate escluse: tagliati i Savoia, tagliati i Mountbatten con lady Pamela Hicks figlia del vicerè d’India e celebre pedofilo non invitata (e chissà che sconquassi a Milano dove in molti ci speravano, puntando sul figlio Ashley Hicks arredatore).

 

L’incoronazione di Carlo è piuttosto il trionfo della middle class, dunque in un certo senso la fine della monarchia e dell’aristocrazia. “Vede tanta gente in giro?” si e mi chiede l’autista di Uber, mentre passiamo da una Chelsea particolarmente sgombra. Vaghi ricordi i trionfi del funeralone dell’anno scorso, l’addio a Elisabetta. “Io no”, si risponde. Anche tariffe di hotel e aerei basse. E se il Daily Mail tromboneggia: “the greatest show of pump and splendour in 70 year”, pare tutto un patetico wishful thinking. “A me interessa maggiormente che non trovo più l’aranciata e il pane di segale al supermercato, e che non ci sono più gli oligarchi russi,  scappati per la guerra”, dice l’autista saggio.

 

Ma vogliamo credere alla favola: sabato, domani, la gran cerimonia, mentre si lustrano i calessi e si rivedono gli inchini. Tempo di bilanci. Kate, anzi Catherine, come fa intendere di voler essere unicamente appellata d’ora in poi, affida  alla versione britannica di Grazia un sottile messaggio. Adesso i bambini sono grandi, voglio occuparmi di più della Corona. Più di così??? Caterina la grande, come titola lo strillo in copertina, è la trionfatrice di questo 2023 fatale alla perfida Albione o a ciò che ne rimane. A dodici anni dall’entrata a Corte, su di lei (nientemeno) “si regge il futuro della Monarchia”, dice una royal correspondent. Lei, commoner fin dal cognome, rappresenta il maggior achievement di questa classe dai tempi del mulino a vapore e della rivoluzione industriale: si insufflò a corte appunto dodici anni fa, con tutti i tira e molla che ormai si sanno a memoria e che meriterebbero delle redivive sorelle Brontë: quando William a un certo punto la mollò, prese in mano tutta la situazione la mamma, l’efferata  Carole Middleton, già hostess e fondatrice di un’azienda di gadget di festicciole, già programmatrice della figlia tipo intelligenza artificiale per sposare il bel - prima delle alopecie - principe, mandandola all’università giusta, e poi appunto gestendo la crisi come un Churchill. “Schedulando” come si dice a Milano tutte le sue serate: devi uscire ogni giorno, farti vedere in questo locale e in quest’altro, non tornare mai prima dell’una di notte, farti corteggiare da questo giovanotto e quest’altro, ma mai dico assolutamente mai baciarti con nessuno, perché poi Will non ti potrà sposare.

 

Lei, che è quello che è, eseguì, e pochi giorni dopo lui, che è quello che è,  capitolò. Non potremmo, invece che al Papa, far gestire anche la crisi ucraina alla sòra Middleton? Lei pure  intuì gli sprofondi esistenziali di Will: mai lavato un piatto in vita sua, mai ricevuto un abbraccino. E che ci vuole? Giù guanti di gomma, Svelto e tanto affetto. E fu suo, anzi loro, cioè della borghesia, sempre lei.  Intanto arrivano a fare le prove, scendendo dalle Bentley col cartello “Bentley di Stato”, i parenti dell’altra gran borghesona, e vincitrice morale della faccenda, Camilla Parker-Bowles, che sebbene si sia tenuta come una Santanché qualsiasi il cognome del marito, in questo caso cornuto, e compreso di trattino, sappiamo bene che questo trattino non significa niente. Ella infatti nasce Camilla Shand, il nonno era un mobiliere che importava pezzi di design dall’Europa, e adesso ecco i piccoli paggetti senza sangue blu pronti a infiltrare Buckingham Palace: i nipoti reali Louis e Gus Lopes, bambini di Laura, figlia di Camilla e del maggiore cornuto Parker-Bowles (lei è già stata damigella al matrimonio di William e Kate).

 

In queste ore sta facendo le prove anche il trentaduenne Hugh Grosvenor, duca di Westminster, cioè il possessore di più metri quadri di prestigio del mondo, detentore di un patrimonio di 9,5 miliardi di sterline, compresa la terra su cui la cerimonia verrà celebrata. Già padrino di battesimo del principino George, parteciperà alle gran cerimonie con la fresca fidanzata senza una goccia di sangue blu, Olivia Henson.  Insomma è andata così, e del resto l’aristocrazia ovunque è sottoposta a sostituzione etnica. Perché si sa che la monarchia è  un lavoro che i nobili non vogliono più fare, altro che grandi dimissioni. Basta vedere i meglio troni europei, dove principi e principesse non raccattano di meglio che personal trainer in Svezia e giornaliste in Spagna, se va bene eredi di duty free (Grecia, vacante).  “Una corona d’acciaio di sicurezza cingerà la corona d’Inghilterra in questi giorni tumultuosi”, titola il Daily Mail, sì vabbè. A chi si abbona  il quotidiano regala pure una tovaglia da tè con l’effigie del sovrano: plastificata.  
 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).