(Foto di Ansa) 

Cos'è cambiato

Le mani in tasca, conseguenza della pandemia

Fabiana Giacomotti

Da baciare o da stringere, da concedere o da nascondere. Il virus ce le ha rese spaventose fino a non tirarle più fuori. Ed è un male

Qualche mattina fa, nel ristorante “Foyer” che anni fa si chiamava “il Marchesino” e che ai tempi dei nostri genitori era il mitico “Biffi Scala”, sosta imprescindibile per una tartina pre-Valchiria che son cinque ore, il sovrintendente Dominique Meyer si è avvicinato alla responsabile della segreteria del Teatro alla Scala, che faceva colazione con una collega, e l’ha salutata con un perfetto baciamano. Delizia della signora, ansia di tutte le presenti all’eventualità che il gesto venisse ripetuto in altri tavoli o, peggio, imitato dagli ignoti commensali del manager francese, nazione molto più liberale rispetto all’Italia in quanto a disposizioni anti Covid e dunque già dimentica di qualunque restrizione. Se si pensa alla trepidazione con cui noi ragazzine degli anni Ottanta valutavamo il possibile compagno della nostra esistenza anche dal garbo con cui accostava le labbra alla mano destra di nostra madre (sì, usa ancora adesso, sebbene i media diano esclusivamente notizia dei bulli, dei pestaggi e degli stupri fra ragazzi; magari sono gli stessi che baciano la mano alle mamme, forse no però), pare evidente che il baciamano sia diventato una forma di trasgressione mondano-sanitaria pari a quello che era, un tempo, lo schiocco sulla bocca fra gli oligarchi russi e i membri del Cremlino, sbertucciato in una lunga serie di film di azione ma anche da Fernandel in un celebre episodio della saga di don Camillo. 


Baciarsi sulle labbra come segno di saluto compagnesco era una cosa leggermente barbara che, implicando lo scambio di liquidi corporei fra semisconosciuti, presupponeva un patrimonio genetico temprato dal sole e dalla fatica e anticorpi abituati a digerire carne lasciata essiccare al vento della steppa. Insomma, un gesto per il quale in occidente si nutriva una certa ripugnata ammirazione e che non si praticava mai, limitandosi a una rispettosa interazione fra gli arti superiori. Mani o braccia a seconda delle epoche, dei luoghi e delle occasioni. La versione aristocratico-religiosa era rappresentata appunto dal baciamano, gesto di “cortesia, correttezza, rispetto, ammirazione o anche devozione di una persona verso un’altra”, come si legge nei manuali di bon ton di un tempo, dove si apprende anche che la pratica di avvicinare le labbra alla mano di una dama si diffuse in tutta Europa nel XVII secolo dalla corte polacco lituana (altro che le gonne arricciate sul posteriore che invasero la corte di Luigi XV e le sonate per pianoforte di Chopin: i polacchi ci hanno insegnato a stare al mondo). Quella maschile era, e in effetti è, la maschia stretta di mano, un gesto che le ragazze delle ultime generazioni hanno appreso a eseguire con mano ferma, asciutta e meticolosamente curata, guardando dritto negli occhi l’interlocutore perché non devono avere paura di niente, tanto meno mostrarsi remissive e indifese. Stringere la mano con un uomo da pari a pari, anzi, per le donne è stata una conquista, non a caso tuttora impossibile nei paesi mediorientali dove la sharia lo proibisce in modo netto citando Allah e il suo divieto di toccare la mano perfino alle promesse spose per non indurle e non indursi in tentazione prima del matrimonio, come peraltro sembrano giustificare legioni di eroine letterarie occidentali pronte a svenire per “una leggera pressione” della mano dell’innamorato, si cita a memoria da un qualche romanzo dimenticato se non per questo passaggio che oggi si può definire grottesco. 


Per le donne occidentali, costrette per millenni ad assoggettarsi alla cessione simbolica e fattuale della propria mano in matrimonio, sineddoche della proprietà di se stesse, la mano per la donna tutta, la libera offerta della propria mano destra da stringere è il primo gesto di potere che sia stato loro concesso. Una cosa franca, testosteronica, antichissima, che si ritrova anche nei geroglifici e nei riti di iniziazione ai culti del dio indo-iranico Mitra, che prevedevano la stretta di mano con la destra per suggellare le alleanze (per testimonianza, osservare le immagini della basilica di san Lorenzo in Damaso, ora incorporata nel Palazzo della Cancelleria) e che i romani e i cavalieri medievali preferivano in genere eseguire stringendosi il polso o direttamente l’avambraccio, non certo per questioni di igiene quanto di sicurezza personale, cioè per verificare che l’altro non nascondesse un’arma sotto il mantello e non intendesse comunque ingaggiare un duello. Timeo danaos et dona ferentes, come sempre. 


In sintesi, per secoli e fino al febbraio del 2020 era vietato toccarsi incontrandosi in India, in buona parte del Medio e in Estremo oriente, principalmente in Giappone, e quella distanza imposta fra gli orientali e noi che, anzi, da qualche decennio avevamo preso a baciarci con chiunque o quasi, ci pareva il segno di una cultura ossessionata dall’igiene, chiusa e dunque portatrice di chissà quali perversioni nascoste (un classico dell’abbinamento pregiudiziale era l’abbinamento fra la riluttanza nipponica per il contatto umano e il fiorentissimo mercato delle mutandine usate dalle studentesse liceali, vendute sottovuoto con foto della proprietaria allegata in certi bugigattoli dove gli occidentali in vacanza si recavano a gruppi, dandosi di gomito e ostentando ribrezzo). 
La pandemia, che ancora non demorde nonostante i media ormai coprano quasi esclusivamente il conflitto russo-ucraino, limitandosi a uno scarno bollettino quotidiano su contagi e morti comunque in aumento a dispetto della primavera inoltrata e delle teorie sull’attenuazione della potenza virale col caldo, ha reso però la stretta di mano un gesto temerario. Più che un saluto, quella che gli americani definirebbero una micro-aggressione, cioè un’invasione dello spazio fisico e psicologico dell’altro, una sfida alla sua sensibilità e alla sua sicurezza personale. Anche perché, ora che stringerci la mano è tornato a essere un gesto possibile, quasi nessuno ne ha più voglia. Nelle ultime settimane si è vista gente cercare sul green rasato della buca 18 una palla da golf che non aveva perso e che, nel caso, sarebbe stata visibilissima, pur di non stringere la mano del compagno di squadra con cui aveva giocato per le quattro ore e cinquanta minuti regolamentari del percorso. Si sono viste serate rovinate e amicizie intaccarsi per il rifiuto della mano tesa e il “sai, ancora non me la sento”.


Da gesto di unione e fratellanza, la mano offerta è diventata the great divide, il grande divario. E anche un’ottima scusa. In due anni di restrizioni abbiamo imparato a praticare il namasté indiano con grazia, a destreggiarci con il leggero inchino giapponese, così garbato dopotutto, così civile, anche a sorridere accoglienti e arrendevoli alzando le mani in gesto di remissione e in cerca di comprensione per la nostra ritrosia. La memoria di certe mani sudaticce che ci lasciavano una patina sul palmo costringendoci a gesti furtivi per asciugarla senza offendere chi ce l’aveva tesa e il desiderio insopprimibile di correre al primo lavandino per dar fondo al sapone, per molti è ancora troppo viva per aver voglia di rinfrescarla, insieme con il bacio-bacio all’aria tanto amato dai modaioli, il “mua mua” che ha dato origine perfino a un brand, House of Mua Mua, lanciato da un’italiana molto eccentrica che vive fra New York, Milano e Bali e che, come Camilla Cederna, trovava lo sbaciucchiamento costante del settore abbastanza surreale da meritare un business tutto per sé. 
Paradossalmente, insieme con molte abitudini casalinghe e con la riscoperta del viaggio a corto raggio (in questo, però e purtroppo, ci ha messo del suo anche l’invasione dell’Ucraina), il Covid ci ha riportato ad abbracciare e a baciare solo chi ci va davvero: l’amato bene, la mamma, i figli quando, superata l’adolescenza, tornano a considerare l’abbraccio con i genitori, in particolare della mamma, un segno di affetto e non di lesa indipendenza. 
La stretta di mano è però un’altra questione, un gesto che dagli anni della Rivoluzione francese e dell’abolizione dell’inchino come espressione verticale e fisica della sudditanza esprime appunto orizzontale parità, dunque in qualche modo va preservato, a meno di non voler replicare a vita i namasté, che comunque esprimono un ringraziamento, o la mano premuta sul cuore, gli occhi rivolti al cielo, che i modaioli sono stati lesti ad adottare dalla cultura islamica e che comunque, a nord del Mediterraneo, appaiono piuttosto leziosi. 


Fra il primo e il secondo lockdown, si erano visti interi esecutivi darsi reciprocamente di gomito. Assomigliava vagamente a un movimento dello Zumba: ruota il busto, alza il braccio, tocca e torna indietro e via col passo. Faceva un po’ ridere, anche un po’ pena, e infatti il gomito-gomito è durato poco, soppiantato dal pugno-pugno, o nocca-nocca che, quando lo vedemmo praticare dagli Obama durante la campagna presidenziale del 2008, ci sembrò una di quelle mosse da giocatori di baseball che sarebbe stato elegante non importare, tipo dammi il cinque. Fox News, sempre a caccia di indizi che provassero le simpatie del candidato democratico per i gruppi islamici e sempre per via dell’altissima valenza simbolica dei gesti, vi ravvide una similitudine con un saluto dei militanti di al Qaida, il “terrorist fist jab”, ma non raggiunse lo scopo, anzi ottenne il risultato contrario: Obama, intervistato dai cronisti alla tappa successiva, raccontò che ogni tanto gli piaceva lasciarsi andare a gesti intimi e anche stupidi con sua moglie e, pescando a mani basse dalla retorica dei testi di Nat King Cole (avete presente “These foolish things reminds me of you”), parlò di intimità, di gioco, di quelle cose di Michelle anche un po’ infantili e che tanto gli piacevano. L’elettorato si intenerì come atteso, e il fist jab o fist bump, il “colpo di pugno” come da conio inglese che in effetti è un’altra lingua rispetto all’americano, era diventato un segno di contentezza e di affettuoso rispetto. Una movenza di gratitudine, del tutto assimilabile al gesto inventato dai quaccheri nel XVII secolo da cui pare tragga origine; un piacevole “bump” come agli scontri del Luna Park, fatti per creare complicità invece che per respingere. 
In questa primavera del 2022, a meno di non essere come quelle vergini di ferro che un tempo intimavano ai corteggiatori di tenersi le mani in tasca (in milanese, volgarissimo, “giò i man de la borsetta”, essendo la borsetta quella cosa lì), il pugno-pugno è assurto a minimo denominatore della convivenza civile. Lo praticano tutti, ovunque, accompagnandolo con un sorriso, come un brindisi che, fra l’altro, sarebbe sconveniente fare toccando i bicchieri. Col pugno, anzi con le nocche, va invece benissimo. L’hanno adottato anche le signore perché sfacciatamente maschile, ma di quel maschile giocoso che non “fa patriarcato”. Come si cambia, pur di non stringere più mani a casaccio. 

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