E' ora di dare un taglio alla retorica sulla fine del mondo

Antonio Pascale

L'enfasi sull'apocalisse imminente è un problema perché appesantisce il discorso pubblico e ingolfa la ricerca di possibili soluzioni contro i problemi attuali

Se potessi fare un appello o coniare uno slogan per un eventuale programma politico sceglierei questo: contro la fine del mondo. Mi accorgo anche di essere fuori tempo massimo oppure soggetto a svariati (e giustissimi) sfottò. D’altronde, la situazione è quella che è, mica c’è bisogno di sottolineare alcunché, metti anche la pandemia che si spera diventi cosa da niente, appunto invochiamo tutti il raffreddore prossimo venturo, ma oltre all’invasione di Putin che poi ci faremo i conti per davvero, e insomma, al quadro scoraggiante va aggiunta nell’apposita casella Excel la questione climatica. Che, ricordiamo, è un fatto accertato, come pure – diciamo la verità –  la sua origine antropica, per quanti distingui si possano fare. Però sì, “contro la fine del mondo” potrebbe essere un programma politico. Contro, cioè, la retorica dell’apocalisse, un vecchio must degli intellettuali che ora si è diffuso come nebbia in ogni dove e appesantisce le discussioni. Sembra sempre che viviamo nel momento topico, in quello non plus ultra, un passo e siamo nel baratro e capite bene che la retorica dell’apocalisse non spinge il motore della ricerca, al contrario lo ingrippa, o lo fa girare a vuoto. Se la casa brucia, se la barca affonda, scusate, lo so che sembra strano ma o penso a prendermi la scialuppa migliore, buttando a mare il vicino, oppure visto che devo morire mi ascolto l’orchestrina del Titanic, tanto prima o poi tocca a tutti, meglio andarsene in musica. 


E questa continua insistenza sui bruciori, i calori, la guerra, l’al lupo al lupo ecc. gridati con caratteri maiuscoli, possono avere due risultati contrastanti. Visto l’affollamento mediatico, uno è: chi grida di più, vince e aumenta i follower. Chi dice una sciocchezza illogica viene immediatamente contrattualizzato in tv e fa una carriera niente male. Siccome il fenomeno è diffuso, lo fai tu, lo voglio fare anch’io, finisce che tu dici una cosa assurda e ti va bene, e scusa, ora la dico anch’io. Così, una dopo l’altra, vengono fuori tesi estreme, scenari da incubo, complottismi vari e soluzioni messianiche o dantesche che poco cambiano lo status quo: quindi, si ottiene sul lungo periodo un effetto paralizzante. L’altro risultato è più traumatico: arriva una temperatura gradevole, uno spiraglio di sole, una nevicata abbondante un po’ fuori stagione, ma sempre a cavallo del ponte tra il 25 aprile e il Primo maggio e allora ci rilassiamo, dài prendiamo gli sci, andiamo in montagna, a respirare un po’ di aria pura, dopo questa immersione nell’incubo. Ce lo meritiamo, no? Ti rilassi, non pensi al cambiamento climatico, e va bene, dici, Putin avrà le sue ragioni, e la pandemia è solo un raffreddore, comunque sarà quel che sarà ci penso domani, dopo la sciata. 


La retorica dell’apocalisse è un problema perché incastra le persone in un angolo, addossa loro responsabilità troppo pesanti e non tutte giuste da accollare ai singoli, così o il cittadino si mette buono buono nell’angolo e si ascolta la predica, paralizzato dagli indici puntati, oppure appena può si scrolla tutto da dosso e addio. Oltretutto, che si voglia o no, la retorica dell’apocalisse non è scientifica e può capitare – come è capitato, basta guardare l’esempio della pandemia – che all’inizio vengano messe in atto misure estreme e inutili, o invocato il castigo divino, come molti intellettuali alla Montanelli dissero al tempo dell’Aids. Far fuori la retorica dell’apocalisse significa usare la logica per fare spazio all’economia, trovare lo spazio utile e proficuo per le buone soluzioni, come i vaccini. Contro la fine del mondo significa che sì certo, ci dobbiamo pensare eccome, con inquietudine ma senza toni isterici, con serietà e lungimiranza, e abituarci a maneggiare più soluzioni e più strumenti. Perché ci sono. Ci sono in agricoltura, nel campo energetico, nelle fabbriche e per i nostri comportamenti quotidiani, ma purtroppo la retorica dell’apocalisse non ci permette di leggere con animo sereno e logico e razionale i nuovi strumenti, per analizzarli e misurarne gli effetti. E ci paralizza col noto ritornello: è tutto un magna magna. Ti fa sentire o peccatore che invoca lo Spirito santo o al contrario uno che più puro non si può. In entrambi i casi indossi inutili vestiti da prima comunione con cero annesso a simboleggiare la lotta contro il demonio.  Perché la retorica dell’apocalisse si basa sulla proclamazione della fine del mondo dopodomani, anzi, visti i toni, spera anche in una catastrofe mondiale, che almeno si muoia tutti insieme sprofondando quando invece, memori della nostra storia evolutiva, ce ne andremo in silenzio, uno dopo l’altro, insomma niente di speciale o da poter raccontare in un film. 


Pensiamoci, siamo otto miliardi, se riusciremo a essere logici, la mia idea insieme alla tua – messa alla prova e misurata – moltiplicherà l’entusiasmo e la felicità. Perché la felicità non sta nella purezza (che per essere valida necessita dell’impurezza infernale), ma nella ricerca di una soluzione di compromesso che sappia fare i conti con le scorie, i rimasugli che la vita produce. E infine, ma  questo è un pensiero intimo, la felicità non è nella vita ma in una morte sana, senza dolore, con due o tre ricordi che ancora scintillano e illuminano quelle volte che siamo stati uniti e seri e motivati, e non allarmati, ansiosi e isterici da essere, insomma, già morti allora.

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