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l'intervista

"Con il termovalorizzatore Roma può uscire dall'emergenza rifiuti e riciclare meglio"

Maria Carla Sicilia

Non c'è solo lo smaltimento dell'indifferenziata tra i vantaggi di costruire il nuovo impianto annunciato da Gualtieri, ma anche degli scarti di chi fa economia circolare. E poi la generazione di energia e calore per industria e famiglie, ci spiega il direttore del laboratorio Ref Ricerche

Tari più economica, energia elettrica per centinaia di migliaia di famiglie e competitività per l’industria. Il termovalorizzatore di Ama, annunciato dal sindaco Roberto Gualtieri, non è solo “il primo passo per portare la città fuori dall’emergenza rifiuti”, dice al Foglio Donato Berardi, esperto di servizi pubblici locali e direttore del laboratorio Ref Ricerche, ma anche “un’occasione per mettere in sicurezza un pezzo importante di tessuto produttivo del Lazio dal punto di vista energetico e portare valore al territorio, con tariffe più basse per rifiuti ed energia”. 


La Capitale produce 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno e senza impianti è costretta a spedirli fuori regione, con costi di circa 150 milioni di euro l’anno secondo le stime di Assoambiente. Un termovalorizzatore da 600mila tonnellate, come quello che Gualtieri tenterà di mettere in funzione prima della fine della sua consiliatura, “ha un fabbisogno coerente” con gli obiettivi europei di portare la quota di riciclo al 65 per cento entro il 2035, spiega Berardi. Ma non facciamoci illusioni: “L’impianto è solo l’inizio della soluzione per avere una strategia adeguata a gestire i rifiuti”. Quello che c’è da fare dopo è utile da mettere a fuoco perché smonta facilmente le opposizioni ambientaliste che si sono sollevate con l’annuncio dell’impianto, da Legambiente al M5s, fino a una parte dello stesso Partito democratico. 


“Il termovalorizzatore è uno sbocco anche per gli scarti del riciclo e rappresenta il presupposto per occuparsi di come gestirli in modo efficiente”, spiega Berardi, evidenziando un aspetto spesso trascurato e cioè che messa in funzione dell’impianto può favorire anche la crescita dell’economia circolare. “E’ proprio la gestione efficiente di questi scarti che fa la differenza tra un riciclo economicamente sostenibile e uno che non sta in piedi: se gestirli costa di più di quanto si guadagna nella vendita delle materie prime seconde il riciclo si ferma”. Nella gestione dei rifiuti, come per l’energia, le soluzioni sono spesso tasselli che si tengono tra di loro ed è così anche in questo caso. Del resto, il termovalorizzatore valorizza dal punto di vista energetico i rifiuti indifferenziati che in alternativa andrebbero in discarica e i residui di quelli differenziati che vengono trasformati dagli impianti che fanno economia circolare. E’ un cerchio che si chiude: se non si può avere recupero di materia, si ottiene quello dell’energia. Sempre meglio che la discarica.


Proprio il vantaggio energetico non è un aspetto secondario. “Con una potenza installata di 100 MW si produrrebbero circa 1 milione di Kwh, il consumo di 400mila famiglie romane”. Un vantaggio però potrebbe esserci anche per le imprese insediate nella zona industriale di Santa Palomba, che secondo le prime indiscrezioni potrebbe ospitare l’impianto. Tra Pomezia e Ardea, sulla via Ardeatina, ci sono infatti un centinaio di aziende tra cui alcune multinazionali. “La generazione di calore del termovalorizzatore può servire a fornire teleriscadamento a condizioni economiche vantaggiose nell’arco di una decina di chilometri, mettendo in sicurezza dal punto di vista energetico un pezzo importante del tessuto produttivo del Lazio”. 


Tutto questo sarebbe possibile già in due anni, che è il tempo che serve a costruire l’impianto, conferma Berardi. Ma di norma questo tipo di progetti impiega il doppio per le lungaggini burocratiche. E’ dunque realistico che Gualtieri riesca a inaugurare il secondo termovalorizzatore più grande d’Italia. E anzi, suggerisce il direttore di Ref Ricerche, “l’opera è coerente con gli obiettivi strategici del Pnrr, anche se non può essere direttamente finanziata con quelle risorse perché i termovalorizzatori ne sono esclusi. Meriterebbe procedure agevolate con tempi contingentati”. 


L’ostacolo più grande, al netto della burocrazia, resta sempre uno: il nimby. “Poche cose possono andare storte: quella più complessa è la costruzione del consenso”. E se è vero che per realizzare il termovalorizzatore di Acerra è intervenuto l’esercito, è vero anche che a Copenaghen lo stesso impianto è un’attrazione turistica con una pista da sci. “L’esperienza insegna che andrebbe utilizzata la procedura del dibattito pubblico. Creare valore e rendere l’impianto un’opportunità è possibile”.  

 

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  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.