Carlo Calenda, leader di Azione e candidato sindaco alla città di Roma (Ansa)

Due notazioni

Calenda e il catcalling

Simonetta Sciandivasci

Il leader di Azione non dovrebbe lustrarsi con la causa femminile o femminista, tirandola in ballo in un duello da bar su Twitter. Anche perché, a rispondere ai Faina di turno, le donne ci pensano da sole, con aristocratica incuranza

Abbisogniamo tutti di una fiera riappropriazione dello snobismo, magari riqualificato ripulito denuclearizzato, ma sempre snobismo. Lo pensi quando vedi leader di sinistra collaterale costituzionalmente impopolari tentare d’essere pop, giovanili, agili, influencer, e rendersi, nella migliore delle ipotesi, buffi. Pensi: se Calenda fosse snob e anziché rispondere a chiunque, su Twitter, alzasse il sopracciglio e tirasse dritto, con fare sdegnoso, e appunto snob, non farebbe un gran servizio alla serietà? Sbagli. L’essenza dello snobismo, ha scritto Virginia Woolf, è il desiderio di fare colpo sugli altri. E allora Calenda, quando risponde a me, a te, a nuvoletta89 e a Er Faina, e lo fa perché crede così di non essere snob, è perfettamente snob. Segue verbale esplicativo.

 

Damiano Er Faina, probabilmente del giro der Vichingo a Fregene, e amico der Mandrillo, è un opinionista di internet. Sulla bio della sua pagina Instagram è scritto che fa il comico. A fine marzo, ha diffuso un video nel quale diceva che fischiare a una ragazza è fischiare a una ragazza, non c’è niente di male, e lo diceva in colorito romanesco. Sette giorni dopo, su Twitter, rispondendo a un signore senza cognome che l’apostrofava in malo modo ricordandogli che “sei stato eletto con i voti del Pd e quindi anche con il mio”, Carlo Calenda ha scritto: “Mi raccomando ricorda sempre Berlinguer e Gramsci e continua a esprimerti come Er Faina”. Er Faina, come Calenda e come il 103 per cento di noi, fa la rassegna stampa googlando il suo nome e andando a leggere chi parla, scrive, twitta di lui, quindi s’è subito accorto della menzione e ha prontamente controbattuto, in un clippino, che lui sa parlare in italiano ma è cresciuto in periferia ed è fieramente verace. Calenda, allora, ha girato un clippino nel quale ha detto a Er Faina che la volgarità è cosa diversa dalla “veracità romana di Belli, di Trilussa, di Proietti” che non ha niente a che fare con “la volgarità verso le donne, che cià solo una cosa: i ceffoni”.

 

Selvaggia Lucarelli ha ripreso il video e ha scritto che Calenda è cringe. Cringe significa imbarazzante; cringe è, ci ha insegnato Annalena Benini su questo giornale, il genitore che racconta una barzelletta lunga dei suoi tempi ai propri figli e ai loro amici. Cringe, se ricorriamo ancora a Virginia Woolf, in fondo, è uno snob che vuole richiamare l’attenzione dei ragazzi, illudendosi di farli ridere. Naturalmente, Calenda ha risposto anche a Lucarelli. Così: “Vedi, mi hai insegnato un termine nuovo. Provo anche io: snobinarde. Preferisco il primo”. Fine del verbale.

 

Due notazioni, da un cuore sinistrato, fedele, leale e disperato. Una. Non si dibatte con chiunque. Il silenzio è un’argomentazione validissima e, soprattutto, una gigantesca prova di fiducia. Vale a dire: per questa volta, mi fido delle persone, penso che ci arrivino da sole a capire che la volgarità non è la veracità, per questa volta non intervengo, non correggo nessuno, non questiono, resisto, mi faccio un Margarita (cringe, e vabbè). Non si dibatte con chiunque anche perché è importante, ogni tanto, lasciare l’ultima parola e pure la prima, a chi non ha da far cose più serie.

 

Due. Il catcalling, ridicolo o no che sia, pone alcune questioni sulle quali il leader di sinistra ha il dovere di intervenire non insegnando a Er Faina la differenza tra volgarità e veracità, ma mettendo in sicurezza le strade dove talvolta capita che da un “sei carina” si passi alle mani, oppure non capita niente, eppure un sacco di donne che quelle strade le attraversano, camminano col cuore in gola e, in mano, le chiavi di casa e lo spray al peperoncino e il rosario.

 

A rispondere ai Faina, amato Calenda, ci pensiamo da sole, con aristocratica incuranza: a volte, si deve avere il coraggio di essere aristocratici, cosa che non richiede titolo, ma spirito. Siamo tra anziani e d’esser cringe capita a tutti, non è un reato e non è una colpa: è un intenerente, inevitabile contraccolpo dell’età. È evitabile, invece, lustrarsi con la causa femminile o femminista, tirandola in ballo in un duello da bar su Twitter. Stai, Carlo. Stai.

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  • Simonetta Sciandivasci
  • Simonetta Sciandivasci è nata a Tricarico nel 1985. Cresciuta tra Ferrandina e Matera, ora vive a Roma. Scrive sul Foglio e per la tivù. È redattrice di Nuovi Argomenti. Libri, due. Dopodomani, tre.